lunedì 19 dicembre 2016

Il valore delle cose

“E come possiamo intenderci se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose che sono dentro me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col senso e il valore che hanno per sé nel mondo che egli ha dentro?”
Luigi Pirandello


E’ trascorso un altro anno, abbiamo cercato di raccontarlo, di essere attenti ai percorsi, alle persone, alle parole e ai gesti. Abbiamo avuto la presunzione di ritagliarci un ruolo, anche scomodo, per dire la nostra, per svolgere, come crediamo di sapere fare, il nostro ruolo civico. Abbiamo avuto la fortuna di essere letti e seguiti, da detrattori e non e di questo siamo grati a tutti. L’anno è stato lungo e tormentato, abbiamo conosciuto amici e perso nemici, abbiamo inseguito la trasparenza e ci siamo ritrovati muri invalicabili. Abbiamo cercato di essere presenti, con l’ironia, con la tempestività, con la rabbia e l’orgoglio di chi pensa che valga la pena scrivere per questo paese. Tante parole e più loro crescono più cresce la voglia di starci dentro quelle parole, di sceglierle bene, una a una, per ricamare la tela culturale e civica di questo paese. Ci siamo occupati del passato, del presente, adesso vogliamo occuparci del futuro. E abbiamo pensato, come fanno i bambini quando scrivono la lettera a Babbo Natale, di scrivere anche noi il regalo che ci aspettiamo. Cari lettori, conoscete la tecnica del kintsugi? Viene dall’Oriente, da molto lontano, da una cultura molto diversa dalla nostra, che distrugge e non conserva, abituata a gettare e non costruire. Il kintsugi insegna a non buttar via i pezzi di ceramica rotti, ma a ripararne le crepe con oro e argento. Il kintsugi è l’arte di valorizzare ogni piccolo fallimento, di riprendere e rimettere insieme con valore, (ecco l’oro e l’argento), i pezzi caduti. Ci vuole tempo, pazienza e costanza per rimettere i pezzi al loro posto e una volta sistemati, l’oggetto sarà ancora più prezioso. Ogni fallimento dunque se valorizzato, può rivelarsi come la cosa più bella e preziosa che abbiamo. Questo è quello che vorremmo come regalo, un candidato sindaco che sappia essere capace di ricucire i pezzi dispersi, che con autorevolezza metta fine alle beghe personali e che sia capace di una dialettica alta. Che parli di politica e che valorizzi la critica facendone arte proficua, che sappia ascoltare e non attaccare. Abbiamo bisogno di una personalità trasversale che unisca i cittadini attorno ad un progetto comune, capace di farci uscire tutti, dalle case così come dalla mediocrità cui ci ha relegati la politica tutta. Non sogni, ma progetti reali, non chimere, non scuse e piagnistei del “soldi non ce ne sono”, non mercificazione delle intelligenze e valorizzazione delle clientele. Per fare questo, c’è bisogno di una classe dirigente che capisca che non può vincere difendendo il passato e criticando il presente, ma di una che sappia comprendere che solo demolendo il presente si può costruire il futuro. Bisogna uscire dalla mentalità provinciale di quelle figure che escono solo durante le elezioni, presenti in tutti gli schieramenti. Bisogna guardare oltre, dire -grazie, ma facciamo da noi-. La dialettica politica a Castelbuono è divenuta una Babele, anche all’interno degli stessi partiti chi non la pensa nello stesso modo ed ha il coraggio di dirlo, è subito attaccato personalmente e messo alla berlina. Pochezze di uomini senza argomenti e politici improvvisati. Non capiscono, loro signori, che quest’atteggiamento, metterà alla berlina proprio loro, allontanandoli dai cittadini e dal buon senso comune. Non servono più strategie e tatticismi, serve qualcuno che attui quella rivoluzione culturale di cui tante volte abbiamo scritto. Volare alto, avere idee, sapere mettere e diffondere entusiasmo, non rancore, non lotte individuali ma capacità di trascinare un forte movimento di opinione. Serve una personalità che abbia una grande capacità di ascolto lontana da chi, oggi, si gira lo sguardo altrove pur di non dare risposte. E allora si sarà bellissimo correre insieme verso un senso diverso delle cose, verso la valorizzazione delle nostre istituzioni, verso quei luoghi che dovrebbero appartenere a tutti ma, che sono finiti con l’essere poltrone e basta. Siamo convinti che sia la persona a fare il ruolo e non viceversa e per questo crediamo che solo rompendo gli schemi, possa nascere una nuova fase. Tornare dunque a dare valore alle cose e alle persone, a quello che dicono, che pensano e che vogliono fare. La vera lezione che questa classe dirigente deve capire, prima che sia troppo tardi, è che c’è bisogno di tutti, dei vecchi e dei giovani, e non solo di essa.



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