venerdì 27 agosto 2021

ERA D'ESTATE

 


IO ME LE RICORDO COME ERANO LE ESTATI QUANDO ERO PICCOLA. NON C’ERANO CANCELLI, NESSUNA RECINZIONE, LE CASE ERANO TUTTE APERTE E COLLEGATE FRA LORO DA SEMPLICI VIOTTOLI.

LE GIORNATE PASSAVANO FACENDO CAPANNE GIRANDO CON LE BICI, ASPETTANDO I CUGINI E GLI ZII CHE ARRIVAVANO DA LONTANO E POI, INSIEME, SI PASSAVA IL TEMPO.

IL TEMPO ERA LUNGO UNA VOLTA, NON C’ERA LA FRENESIA DI ANDARE CONTINUAMENTE IN PAESE.

GLI APERITIVI NON ESISTEVANO, C’ERANO LE CROCCHE’ O IL PANUZZO CALDO CHE LA NONNA SFORNAVA DI CONTINUO.

RARAMENTE C’ERA IL MARE, SALVO CHE, NON TI PORTAVANO GLI ZII PIU’ GIOVANI. ERA D’ESTATE QUANDO SI PROGRAMMAVANO I TEMPI DELLE CONSERVE.

IN PROSSIMITA’ DU CAVIRI DI SANT’ANNA, SI SECCAVANO I POMODORI IN AMPI E SALATI CANNIZZI, LA SERA POI, SI AVEVA L’ACCORTEZZA DI RIENTRALI PER NON FARLI AGGREDIRE DALL’UMIDITA’.

POI ERA LA VOLTA DEI FICHI E INFINE IL LAVORO PIU’ ARDUO E MASSACRANTE, QUELLO DI FARE LA SALSA.

DI POMERIGGIO, NEL TARDO POMERIGGIO DI ANDAVA, VESTITI BENE, A TROVaRE IL VICINO DI CASA, CI SI SEDEVA NELLA TICCHIENA. C’ERA CHI RICAMAVA, CHI ASCOLTAVA I RACCONTI DELLA PIU’ ANZIANA E SI BEVEVA UN LIQUIDO MERAVIGLIOSO, L’ACQUA CON LO SPIROPPO DI AMARENA. CHE MERAVIGLIA QUELLE AMERENE DEL FRUTTETO SOTTO CASA, ROSSE, GRANDI, POLPOSE TURGIDE, ERA UNA MERAVIGLIA QUEL SUCCO, UN VERO NETTARE DEGLI DEI.

POI, ARRIVAVA LA SERA ED ERAVAMO SEMPRE TANTI, NON C’ERANO I TELEFONINI PER CUI CHI ARRIVAVA ERA DESTINATO A RIMANERE A CENA INSIEME A NOI.

ERAVAMO TANTI E PER COMUNICARCI QUALCOSA, SI CHIAMAVA AD ALTA VOCE DI CASA IN CASA. CI SI METTEVA NEL PUNTO IN CUI LA VOCE SI SAREBBE SENTITA MEGLIO DALL’ALTRA PARTE E SI CHIAMAVA. SI CHIAMAVA FINO A QUANDO QUALCUNO, DALL’ALTRA PARTE NON RISPONDEVA. ERANO SEMPRE NOMI FEMMINILI, MAI MASCHILI. ERANO ANCHE NOMI COMUNI, MA SEMPRE FEMMINILI.

ERA SEMPLICE QUELLA VITA, CERTAMENTE PIU’ FATICOSA, MA SEMPLICE. NON C’ERANO I SELFIE, NON C’ERANO LE USCITE SERALI, MA C’ERANO LE SDRAIO DOVE RIPOSARSI E GUARDARE IL CIELO. INFINITO, COME IL TEMPO D’ESTATE.

C’ERANO LE TORCE PERCHE’, DAI QUEI VIOTTOLI SI TORNAVA A CASA ANCHE A TARDA SERA E CI FACEVANO COMPAGNIA LE LUCCIOLE.

C’ERANO LE RANE, C’ERANO I RICCI, A VOLTE ANCHE QUALCHE BONARIA VOLPE.

NON C’ERANO MAI SITUAZIONI IN CUI TI SENTIVI SOLA, NON C’ERA MAI LA POSSIBILITA’ CHE LO FOSSI…E OGGI, PENSO CHE QUELLO SI, ERA DAVVERO UN PRIVILEGIO.

C’ERANO TUTTI, SI STAVA INSIEME ED ERAVAMO TANTI. ERA BELLO PER QUESTO.

 ERA CALDO IL TEMPO E BUONA L’ARIA. ERA D’ESTATE.

martedì 28 gennaio 2020

Quando c'era Berlinguer

"Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo per uno"
Berlinguer

Giorni densi di importanti e significative commemorazioni. L’assassinio di Piersanti Mattarella, l’anniversario della morte di Berlinguer e quella che ci riguarda più da vicino, di Gino Carollo. Le varie testimonianze e la storia stessa ci hanno restituito la forza di queste figure, nelle loro varie sfaccettature e il valore etico che diedero alle loro battaglie politiche. Non figure controverse come quella di Craxi, anche lui ricordato in questi giorni. Non fazioni opposte, prese di posizioni comode o ideologiche, nessun revisionismo nei loro confronti, quasi invece, un coro unanime.  Tutto un dire “quando c’era Berlinguer…quando c’era lui …”. Bene, fatta questa premessa, come nostro solito, abbiamo accesso i neuroni e ci siamo posti un po’ di domande, osservando la realtà dei nostri liquidi tempi. Conosciamo ahimè molto bene, i politici di oggi che amministrano o animano la nostra stagione, magari non da protagonisti, ma certamente ne sono stati protagonisti negli ultimi anni. Tra questi ci sono anche quelli che hanno avallato scelte discutibili e “leader” altrettanto controversi rispetto a quell’idea di purezza e alti valori umani e politici che riconoscono e ammirano in Berlinguer. Lo stesso vale  nei confronti del  nostro concittadino Gino Carollo, uomo vicino a tutti, gentile e sempre disponibile al dialogo. Avversario e mani nemico di chi sedeva all’opposto dell’emiciclo. Un esempio dicono gli smemorati di oggi. Il punto dunque è il seguente. Politico è chi che sei ogni giorno, quello che fai dalla mattina alla sera. Politico è cosa scegli, cosa leggi, come parli, mangi, racconti. Se oggi ci ritroviamo con vanesi autorefenziali al comando, che hanno ribrezzo per il confronto civile, usando toni sprezzanti verso chi non la pensa come loro; se ci ritroviamo in una situazione in cui mille volte si parla di turisti e mai di cittadini,  di sagre e non di crescita cultura, (tutti remi molto cari a Berlinguer), se questi sono i frutti di quelli che rimpiangono Berlinguer, possiamo tranquillamente affermare che le due cose non possono stare insieme. Non c’è connessione tra il ricordo corale degli smemorati di quello che Berlinguer rappresenta e il prodotto che uomini e donne hanno contribuito a creare oggi, anzi è loro responsabilità se ci troviamo in questa condizione di pantano perenne.  Coerenza ci vuole nella vita, anche se sopratutto nella vita! Quando c’erano scelte da fare, questi smemorati hanno preferito quelle più comode a quelle più incisive per tutti. Una sorta di populismo in embrione. Oggi quello che ci ritroviamo è frutto di quelle scelte, anche di carattere personale fatte dagli smemorati. Una disconnessione con la storia e uno iato intellettuale e politico che non è possibile rimarginare. Berlinguer, che parlava con toni tranquilli ma decisi, che affrontava battaglie per il rispetto comune, mai e poi mai avrebbe avallato la mediocrità culturale della politica odierna. Non si può dunque, ricordare e osannare una storia e i simboli che essa tramanda, per comodità, perché il ricordo sembra mettere la coscienza al posto giusto avendo vissuto e agito nella direzione contraria. Semplicemente, se non si è vissuto facendo scelte per onorare le idee di Berlinguer, non si può onorarne oggi la memoria.
Quando c’era Berlinguer non è solo un ricordo, ma un monito. Se ci fosse stato Berlinguer, dovrebbe essere una riflessione. Se ci fosse Berlinguer, vi direbbe: grazie no!


sabato 4 gennaio 2020

IL RIFUGIO


“Acquisire l’abitudine di leggere è costruire per te stesso un rifugio da quasi tutte le miserie della vita”.
William Somerset Maugham
E’ capitato a tutti nella vita di trovarsi smarriti per una qualche vicenda vissuta e cercare con animosità un rifugio per stare meglio. Le strade, a volte, diventano tortuose, ci s’incammina in ardue salite che rendono molto difficile il cammino e allora occorre trovare un posto al sole dove, piano piano, ricominciare a respirare. Alcuni anni fa, questo è successo a noi. A quasi nessuno è sfuggita la nota e sconcertante vicenda che ci ha visti vittime prima e poi travolti. Troppo pubblico il ruolo, troppo importante l’istituzione, troppo grave quanto accaduto. Fu per noi, una vicenda scioccante e dolorosa che ci vide, per molto tempo, al centro di discussioni avvincenti per alcuni versi, e deprecabili per altri. Fu un periodo difficile, fatto di scelte radicali e parole importanti. Fu in quel momento che avemmo il bisogno di cercare un rifugio. Per noi leggere e scrivere sono sempre stati comportamenti non solo quotidiani, ma anche vitali. Non c’è stato giorno nella vita, in cui non abbiamo avuto un libro con noi e una matita e un quaderno, rigorosamente con copertina rigida, su cui scrivere. Questi due elementi vitali ci hanno condotto piano piano a questo giornale. Da quel momento l’intelligenza raffinata di chi lo guida, la storia innata e palese de “Le Madonie”, la sua autorevolezza e allo stesso tempo la sua distinta ironia, sono stati per noi il Rifugio. Lo sappiamo, questo non è un addio, è solo un momento di riflessione, se volete anche una dichiarazione di stima e affetto che ci lega a queste pagine. Il suo bianco e nero, ostinatamente esibito contro un mondo digitale che ha nei colori la sua stessa connotazione, le sue pagine, fogli, che da potere strappare appena c’è una notizia da conservare. Il suo motto…noi restiamo in montagna, sono la nostra identità, il segno distintivo della nostra appartenenza. Ci dicono chi siamo in un momento in cui Castelbuono è un luogo ameno governato da una falsa morale che non ha nulla da insegnare e lo sa e per questo è prepotente. L’ironia, dicevamo, al contrario della prepotenza, denuda ciò che stona in una Comunità rendendolo quello che è, un fenomeno ridicolo. Nessun altro giornale come Il Bancarello è mai riuscito in questo. Mai un copia e incolla, ma riflessioni che hanno raccontato personaggi, luoghi, contorni, battaglie politiche e civili. La montagna, si quella che è il nostro orizzonte a fare la sfondo alla testata. Il Rifugio dunque, quello che periodicamente abbiamo trovato nella nostra posta, aspettandolo con gioia e trovandolo con rassicurazione. Un amico quasi, che viene a raccontarci cosa succede in Piazza Margherita e nel nostro territorio. L’ha fatto per 100 anni e se pensiamo, quanto sono lunghi e quante persone hanno collaborato al Bancarello per raccontare il nostro paese, non finiremmo mai di scrivere. Un onore, per noi, essere parte di questa storia, di questo racconto corale senza fine. Un incentivo non solo alla scrittura, ma la voglia di imparare e capire come si raccontano i fatti, le persone. Una scuola di pensiero, capace di creare in noi la voglia di andare avanti. Se si ha un Rifugio nella vita, ci si scrollano di dosso tutte le vicende negative senza dimenticare che ci hanno segnato. Si riesce a guardare dall’alto in basso quelle persone che ci hanno leso senza alcun motivo e che però ci hanno danneggiato. Se si riesce ad avere un Rifugio, si ha la possibilità di credere in qualcosa che capisce come sei fatto e che per questo valorizza le tue capacità e le espone, rassicurando la tua dignità. Infine, se si ha un Rifugio, si cementifica l’importanza di leggere, scrivere e costruire per te stesso per segnare la differenza contro tutte le miserie della vita.




venerdì 22 novembre 2019

L'ARROGANTE


“Chi nel successo diventa presuntuoso
non sa più ascoltare nessuno,
diventa incapace di leggere la realtà
e confida solo nella sua arroganza”
Enzo Bianchi
Chi di noi non ha mai incontrato nella vita un arrogante? Il tempo stesso che stiamo vivendo è arrogante in se stesso. Lo viviamo ogni giorno, chi  parcheggia male la propria auto bloccando il traffico, chi non rispetta le code negli uffici pubblici, chi vuole primeggiare su tutto a discapito di tutti. L’arrogante è in mezzo a noi, sempre. Al primo sguardo sembra forte, invincibile, con i suoi modi tende a dividere le persone per primeggiare. Calpesta la dignità di chiunque e non mostra rispetto per il pensiero altrui. E’ spesso litigioso nei modi così come nella parole. Detesta che qualcuno possa emergere e lo impedisce con ogni mezzo.  Ogni giorno assistiamo a dichiarazioni irresponsabili e anche violente che denotano un impoverimento culturale ormai quasi inarrestabile. Non ci sono più i tempi consentiti da una conversazione civile seppur di idee opposte. L’arrogante schiaccia le idee diverse dalle sue con qualsiasi mezzo. Quello che dovrebbe preoccuparci di più è quando l’arrogante è un politico, colui che detiene il potere di “fare” o “non fare” le cose. Lo abbiamo visto, le sorti del nostro Paese, sono state legate e lo sono tutt’ora a personaggi che perseguono solo la loro affermazione. Essi hanno la capacità di impoverire la cultura di convivenza civile, dando segnali egocentrici e del tutto sbagliati. Non è facile individuare il vulnus che crea l’arrogane perché, parlando alla pancia e non alla mente, attecchisce in chi vuole che le “proprie” esigenze vengano messe in primo piano. Quanto è falso tutto questo. Creare un nemico, aizzare sulle insofferenze, rendere divisivi i cittadini. “Divide et impera” è il suo motto. Ma perché lo fa l’arrogante? Egli è di solito, un uomo che si arroga il diritto di scegliere sempre il meglio, di non sbagliare mai e di ergersi a capo-popolo senza però averne le capacità intellettuali. Non è mai roso da nessun dubbio. Conosce i propri limiti, ma non ammettendoli li usa a suo favore. Sembrerebbe un controsenso, m questo è alla base del tempo barbarico che stiamo vivendo. L’incapacità di sapere ascoltare, di dare una lettura sbagliata della società, si tramutano in scelte scellerate anche nella gestione dei soldi pubblici. Confidando solo nella sua arroganza, sceglie il metodo più veloce per non scontentare nessuno e per premiare gli istinti più bassi, che non hanno bisogno di convincimento culturale, “Mala tempora currunt”.
Non sappiamo come andrà a finire, ma sarebbe bello se ognuno facesse la nostra parte, sarebbe immensamente positivo se scegliessimo persone perbene e non quelle che sembrano le più “simpatiche”. Il vivere civile non ha bisogno di battute dette per pura propaganda, ma di capacità e visione. Cominciamolo a farlo nei nostri piccoli centri, con la fortuna, come dice qualcuno “che ci conosciamo tutti”…




mercoledì 16 ottobre 2019

CHIUSO



“Esistono luoghi che respiri e senti tuoi.
Come quelle persone che, anche se non hai mai incontrato, conosci da sempre”.
Fabrizio Caramagna

Camminare, andare su e giù, con gli occhi bassi guardare i propri passi. Andare, venire e tornare. Alzare la testa e guadare ad altezza del proprio sguardo quello che ti sta intorno. Case chiuse, sbarrate le porte e chiusi i balconi dove prima si vedeva la vita. La mattina fa meno impressione. Quasi tutti, la mattina escono per andare a lavorare è normale che chiudano tutte le finestre. La sera, invece, è quella che fa più impressione. Avete mai provato a fare una passeggiata per Castelbuono la sera? Strade poco illuminate per lo più, deserte e case immobili avvolte nel silenzio più cupo. Nessuna luce, nessun profumo della cena appena preparata. Non c’è traccia di persone che aprono quelle porte. Sfilze di case che creano le vie, tutte rigorosamente chiuse, alcune sembrano tristemente abbandonate. Nessuna voce, nessun racconto tra i balconi. Non ci sono panni stesi, nessun fiore. Anche la piazza più bella del mondo, per alcuni “ombelico del mondo” è vuota.  Andate in via Mario Levate, scendendo sulla destra ci sono quindici case chiuse. Andate in via Mustafà e troverete lo stesso. A Strata ranni, Via Maurolico, Via Cappuccini. Andate a piedi, noi lo abbiamo fatto e la tristezza ci ha preso il cuore. Non parliamo di tarda sera, no, basta andare intorno alle 19 e non vedere nessuno. Ve lo ricordate cosa era prima il vespro? Era un appuntamento assiduo della giornata, dopo il lavoro andare a fare la passeggiata, incontrarsi, chiacchierare. Vedersi appunto. La nostra Agorà è vuota, struggente nel suo ordine al quale manca la vita e la vitalità di chi, come noi, da bambino la affollava con giochi fino all’ultimo respiro. E’ sofferenza, è straniamento vedere cambiare così rapidamente Castelbuono. Un malinconico lungo addio tra due generazioni che non si scambieranno mai il testimone. Nessuno ne parla apertamente, nessun incontro pubblico su questo, ci mancherebbe! Una società, ormai, solo di alcuni che si spartiscono tutto e il resto muore e a loro non importa. Nessuno ne parla. Solo sogni di gloria e propaganda dipingendo un paese che non c’è più. Stridono certi discorsi, stride la mediocrità data a certe notizie che di sensazionale non hanno nulla. Scialbo e inutile è il potere che non s’interroga, che prende e non da. Mediocre è non confrontarsi, non aprirsi e non ammettere che un problema sociale forte esiste e che non è solo dei ragazzi che vanno via per il lavoro. Certo è anche quello, ma c’è di più. Ci sono legami che finiscono, ci sono vite che non nasceranno più qui, che non andranno nelle nostre scuole, che non compreranno più nei pochi e resistenti negozi ancora aperti. Il paese è cambiato in peggio; è terribile sempre, quando si perdono le persone. La bufala del turismo che avrebbe portato ricchezza, che avrebbe dato lavoro a tutti. L’ecologia accostata solo a un cassonetto tolto senza interrogarsi sui veri cambiamenti degli stili di vita. Il nulla, questo è successo negli ultimi anni. Un potere autoreferenziale che non riesce a sostenere lo sguardo di chi la pensa diversamente e per questo attacca dalla mattina alla sera. Era bella Castelbuono, tanta gente, le foto di un tempo lo raccontano. I discorsi della storia lo ricordano. La vitalità, la genialità erano azioni quotidiane. L’ironia madre della vera Castelbuonesità.
Siamo pochi adesso, siamo anche più soli perché quando non c’è il ritorno ideale, la cosa che resta è la solitudine.




venerdì 19 luglio 2019

L'APE REGINA


“Come api attorno al miele. Perché le api sono così attratte dal miele, dato che lo producono? Potrebbe essere solo vanità.” 
Simon Murrey
A pensarci bene il mondo delle api è davvero affascinante. Volano di qua e di là, non temono il caldo, il vento…vanno veloci e certe verso i fiori. Leggere, quasi invisibili, stanno attente a tornare con tanto nettare offerto da quei fiori ignari. Lavorano tanto, alcune sono anche più attive, tornano all’alveare per soddisfare le esigenze dell’ape regina, che si sollazza della sua maestosità, ben nascosta e protetta. Lei, in effetti, ha un grande compito, quello di addestrare il suo esercito gioioso per produrre quanto più miele possibile. Le guarda, controlla ogni movimento delle piccole api ma resta lì, ferma, gloriandosi della sua stessa natura che l’ha voluta regina, “come api attorno al miele” appunto.
Vanno e vengono le altre, in modo meccanico fanno quello che la loro regina si aspetta. Non possono trasgredire, non è neanche nella loro natura, come soldatini ben addestrati, ogni giorno per loro è tempo di rendere omaggio all’ape regina. Mute, si aggirano affannosamente nel tentativo anche di essere scelte. Sì, perché tra le prerogative che ha l’ape regina, c’è quella di sceglierne una per farla diventare il suo pupillo. Si chiama fuco l’ape che sarà scelta e che diventerà la stella nascente del regno della regina. Al fuco, anche le altre api si sottomettono, in linea perfetta con il sentimento d’inferiorità che le lega all’ape regina.
L’ape regina non ha occhi che per il suo fuco, lo fa nutrire bene, riposare, lo allieta con le sue gesta affettuose. “Una vita meravigliosa” pensa il fuco che si lascia prendere sempre più, dalle avances della sua regina. Il fuco pensa così di essere ormai salvo, di avere ottenuto tutto quello che desiderava. Come negli uomini, quando arriva l’agognato benessere, qualcuno si rilassa e allora cosa succede? Quando il fuco ormai è certo che occuperà il posto della sua regina, anche perché lei glielo ha fatto credere, essa lo uccide senza pensarci, dicono anche sia una morte atroce. Essa, senza alcun sentimento, smette di amarlo, di coccolarlo e lo uccide violentemente. “Nessuno può pensare di occupare il mio posto, che sia di esempio per tutte quello che ho fatto al fuco” dice alle altre impaurite e tremanti di paura.
Se solo le api capissero che non di solo miele di vive, la storia sarebbe diversa.
Il mondo delle api è sempre più simile a certi uomini e ai loro gesti, è affascinante e ci insegna a osservare più attentamente certi Api Regine piene di vanità e standone attenti per prenderne le distanze.






martedì 18 giugno 2019

Fontanelle: Il teatro che ci manca


Cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che chi studia sia consapevole della dignità. L’uomo di cultura deve reagire a tutto ciò che è offesa alla sua dignità, alla sua coscienza. Altrimenti la cultura non serve a nulla.”
Oriana Fallaci
Di recente si è celebrata l’ennesima assemblea pubblica su un tema annoso: il progetto di rifacimento del Teatro Le Fontanelle. Tema spinoso, che ha macinato vari decenni e appassionato molti, ma che non è mai stato risolto. Annunci roboanti, da parte di varie amministrazioni su finanziamenti avuti e perduti, su progetti stupendi e sbagliati, ogni volta iperboli scambiate per verità, hanno fatto si che fosse l’opera culturale e morale più incompiuta della storia di Castelbuono. Grandi architetti, area castellana messa a soqquadro solo su carta, idee, proposte, tutte e sempre cadute nel dimenticatoio. Adesso la sfida, che proprio in quell’assemblea è stata quella di mostrare e non dimostrare, quale possa essere il progetto migliore, certamente, avendo fede alle famose norme che si rispolverano quando non ci sono idee.
E allora, sui social, si è aperto un mini dibattito, mini perché l’argomento mostra sempre meno fascino, come quando una donna, molto bella in gioventù con il passare degli anni, perde quella luce che la faceva brillare. Ne abbiamo sentite tante : chi vuole abbatterlo completamente, così che si possa fare un mega punto panoramico. Tipo spianata, che non sarà all’altezza di quella delle Moschee di Gerusalemme ma, visto che Castelbuono si confronta con il mondo, poco ci manca. Centro polifunzionale, che come tutti i termini generici, dice tutto e niente. Chi vuole farlo diventare un collegamento al castello, chi vuole 400 posti…ma quando mai, sono pochissimi! Noi abbiamo bisogno almeno di 1000 posti... e così via. Il mini dibattito si è spento nel giro di un paio di giorni. La politica, come sempre quando non ha idee, butta la palla e poi scappa via, non partecipando al gioco. Come si fa con il discorso “sull’elefante rosa”, tutti a parlarne, ma senza averlo mai visto.
Ora vorremmo provare a fare un esercizio; piuttosto che continuare a mostrare progetti tecnici, perché non ne scriviamo uno culturale, così che poi si possa fare di quello tecnico un involucro non vuoto ma pregno di idee culturali appunto?  Cambiare per una volta l’oggetto del discorso e cambiare strada. La prima domanda da fare è: oggi serve un teatro?  Speriamo proprio di si. Castelbuono vanta una grande tradizione teatrale, proprio in quel teatro si esibivano compagnie importanti, andavano di scena anche opere liriche. Poi vennero gli anni del Veglione, quello vero, in cui bastavano una chitarra e molta intelligente ironia per raccontare le “nostre” storie. Si ballava, si ascoltava, ci s'incontrava, ci si vestiva eleganti, proprio come quando si va a teatro. Adesso, in cui neanche è resistito al corrosivo imbarbarimento culturale il Veglione, in cui, le poche, (forse duo o tre) compagnie teatrali vanno di scena in estate, accaparrandosi legittimamente date “utili” per avere più pubblico, possono avere un teatro? Dall’altro lato, assistiamo con stima e stupore ai tanti musicisti che stanno crescendo grazie al lavoro incessante che fa la nostra scuola media, ma nessuno pone un tema fondamentale in quel mini dibattito: quel “coso” - teatro, servirà anche alla scuola? Ne sarà parte integrante? Ancora, le tante associazioni culturali avranno voce in capitolo, o finirà come per il Centro Sud, ex Chiesa del Crocifisso, buona a tutto, dalle “mostre” agli spettacoli…per nulla idoneo a fare teatro, altra promessa mancata? Perché invece non si parte dalla destinazione dell’area castellana? Subito dopo il suo insediamento l’amministrazione fece una serie di nomine gratuite per sviluppare un progetto sull’area castellana. A che punto siamo? E’ possibile intervenire facendo una discussione seria e senza escludere nessuno che non sia vicino a qualcuno?  Vogliamo che il Castello decolli veramente con un progetto culturale vero e non solo di uno, magari sviluppando un percorso culturale e sacro insieme? Vogliamo aprire un vero dibattito sulla funzione presente e futura della nostra istituzione culturale più importante inserendola dentro quello più ampio de “Le Fontanelle”, della piazza e del restante viale che la circonda? Vogliamo fin da subito chiudere al traffico quella meravigliosa piazza, cancellando anche le strisce dei parcheggi che la sfregiano? A proposito, poiché Castelbuono si confronta con il mondo, in quale altra piazza artistica esistono i parcheggi? Per una volta, una sola volta, proviamo a tornare persone serie, cerchiamo tra i nostri bisogni cosa ci serve davvero per crescere come Comunità. Non facciamoci  imbrogliare dall’argomento estetico…la spianata o la cupola, o la terrazza.  Di teatro dobbiamo parlare. Andiamo contro vento, non cerchiamo l’involucro, immergiamoci, perdiamoci dentro il contenuto. Parliamo di temi, torniamo a costruirlo in quella piazza, scegliamo la scena migliore, la voce più forte. Scriviamo una storia diversa, non voltiamo pagina, ma cambiamo libro, lasciamoci trasportare da storie nuove, non di qualcuno, ma per qualcuno. Troviamo il coraggio di parlare di quello che nessuno osa dire, con dignità culturale. E come nella migliore tradizione del teatro vero aspettiamo che si apra il sipario.

Nessuna descrizione della foto disponibile.