domenica 16 ottobre 2011

Ottobre

"..per un motivo o per l'altro, sono un triste esiliato. In un modo o nell'altro, viaggio con la nostra terra e continuo a vivere con me, laggiù, lontano, le mie essenze longitudinali della mia patria"
Pablo Neruda

Stamattina ho aperto un libro e come spesso accade ho letto qualcosa che mi assomiglia. Sono giorni strani quelli di ottobre, è un mese a me non particolarmente simpatico, anche se è il 5 di ottobre, io mi sento sempre spostata in avanti, per me ottobre ha solo una data il 20. E allora il pensiero corre lontano,va indietro, più indietro possibile e le smanie affiorano tutte, le mancanze si fanno concrete.
Ottobre è il mese in cui spendo di più, in cui leggo di più, in cui sto meno a casa, in cui uso di più il telefono, in cui ascolto più musica, è il mese dei rendiconti, delle assenze che pesano, dei malumori e della voglia di futuro.
Tutto assume forse lontane, visi che non ricordo bene, voci che sono più nella mia fantasia che nella mia memoria e questa a poco a poco si fa sempre meno lucida.
Allora cosa fare? Scrivere per il vecchio detto, verba volant scripta manent, anche se in questa breve storia la versione dei fatti è solo la mia.
Così, ad ottobre, mi sento come Neruda, una triste esiliata, alla ricerca di una completezza che non c'è e che concretamente non ci sarà mai, di una storia che, come un video sempre uguale, racconta sempre le stesse cose, che non scorre perchè non c'è più tempo, perchè quel tempo è finito, forse troppo presto.
Resta solo il ricordo della sera a Mandrazze, mentre il grilli cantano, le donne cucinano, i bambini giocano e gli uomini discutono fumando sigari americani.
E' bella la mia storia, l'infanzia che ho vissuto, io vorrei che la vivessero tutti i bambini del mondo, così quel tempo è la mia patria lontana, il mio non luogo, nel quale l'esilio non è contemplato, dove la tristezza non ha casa, serate in cui i grilli cantano beati e il profumo dei gelsomini inebria l'aria, è un tempo nel quale non c'è spazio per ottobre.

domenica 9 ottobre 2011

Steve Jobs..discorso all'Università di Stanford


Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. A dir la verità, questa è l’occasione in cui mi sono di più avvicinato ad un conferimento di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre episodi della mia vita. Tutto qui, nulla di speciale. Solo tre storie.

La prima storia parla di “unire i puntini”.

Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto come imbucato per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo definitivamente. Allora perchè ho smesso?

Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica era laureanda ma ragazza-madre, decise perciò di darmi in adozione. Desiderava ardentemente che io fossi adottato da laureati, così tutto fu approntato affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua moglie. All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero preferito una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei “veri” genitori, che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione, furono chiamati nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un bimbo, un maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero: “Certamente”. La mia madre biologica venne a sapere successivamente che mia mamma non aveva mai ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai diplomato: per questo si rifiutò di firmare i documenti definitivi per l’adozione. Tornò sulla sua decisione solo qualche mese dopo, quando i miei genitori adottivi le promisero che un giorno sarei andato all’università.

Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi un’università che era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei genitori sarebbero stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo. Inoltre, come ho detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato per tutta la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. OK, ero piuttosto terrorizzato all’epoca, ma guardandomi indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle lezioni obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano interessanti.

Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione in quel periodo si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio:

il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto, erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ‘ufficiali’e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello visto là attorno. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, a come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere, e che cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’, e trovavo ciò affascinante.

Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer dalla bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto multipli caratteri e font spazialmente proporzionate. E se Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se non avessi abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono. Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’e avere un quadro di cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo.

Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete... questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita.

La mia seconda storia parla di amore e di perdita.

Fui molto fortunato - ho trovato cosa mi piacesse fare nella vita piuttosto in fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro, e in dieci anni Apple è cresciuta da noi due soli in un garage sino ad una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato la nostra migliore creazione - il Macintosh - un anno prima, e avevo appena compiuto trent’anni... quando venni licenziato. Come può una persona essere licenziata da una Società che ha fondato? Beh, quando Apple si sviluppò assumemmo una persona - che pensavamo fosse di grande talento - per dirigere la compagnia con me, e per il primo anno le cose andarono bene. In seguito però le nostre visioni sul futuro cominciarono a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro Consiglio di Amministrazione si schierò con lui. Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più, e tutto questo fu devastante.

Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche mese. Sentivo di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che avevo lasciato cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto così malamente: era stato un vero fallimento pubblico, e arrivai addirittura a pensare di andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro me: amavo ancora quello che avevo fatto, e ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Così decisi di ricominciare.

Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La pesantezza del successo fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un iniziatore, mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.

Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar produsse il primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, ed è ora lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. In una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò NeXT, ritornai in Apple e la tecnologia che sviluppammo alla NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia insieme.

Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un saporaccio, ma presumo che ‘il paziente’ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una parte rilevante delle vostre vite, e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi.

La mia terza storia parla della morte.

Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai azzeccato”. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi trentatrè anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa.

Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto - tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento - sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore.

Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una scansione alle sette e trenta del mattino, e mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas. Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile, e avevo un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai tuoi figli tutto quello che avresti potuto nei successivi dieci anni in pochi mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da rendere la cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare i tuoi ‘addio’.

Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In seguito quella sera ho fatto una biopsia, dove mi infilarono una sonda nella gola, attraverso il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda nel pancreas e prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale, ma mia moglie, che era lì, mi disse che quando videro le cellule al microscopio, i dottori cominciarono a gridare perché venne fuori che si trattava una forma molto rara di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così mi sono operato e ora sto bene.

Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla morte, e spero lo sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi ora qualcosa con maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo un puro concetto intellettuale:

Nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte rappresenta l’unica destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai sfuggito ad essa. Questo perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore invenzione della Vita. E’ l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’e sarete messi da parte. Mi dispiace essere così drammatico, ma è pressappoco la verità.

Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero giovane, c’era una pubblicazione splendida che si chiamava The whole Earth catalog, che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era idealista, e pieno di concetti chiari e nozioni speciali.

Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di The whole Earth catalog, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta di copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il loro addio, e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi.

Siate affamati. Siate folli.

lunedì 20 giugno 2011

L'articolo che mi ha fatto innamorare di Concita De Gregorio

Ciao mondo e dicci grazie, siamo il Sud che alza la testa

Guardateci bene, voi che non ci avevate creduto.

Venite vicino a questo stadio, entrate nell’astronave bianca che si apre.

Ancora più vicino, non abbiate paura: veniteci dentro.

Ecco bravi, così, passate sotto la fiaccola accesa, non fermatevi seguite la musica.

Entrate in questo campo di grano.

Sentite le parole che dicono “dio ci consenta di essere sempre capaci di danzare in cerchio”, è un nostro poeta.

Guardateci danzare, vi piace?

Sono le nostre danze.

E questo è il nostro cielo, questa notte tiepida.

Questa maliconia la nostra amica, questa insonnia la nostra unica cura.

Ora ci vedi bene, mondo, ci vedi da vicino.

La nostra gente ti saluta.

Ti ha aperto la casa per un mese intero, la conosci.

Guardaci ancora, prima di ripartire.

Siamo noi, eccoci qui: siamo la Grecia.

Siamo quelli che non ci credeva nessuno, al principio.

Siamo quelli del Sud che fanno tardi e poi arrivano di corsa: come farete voi così confusi e lenti?, dicevate voi del Nord, e ridevate dubitando.

Come farà la Grecia che è così piccola, e polverosa e povera a preparare case e strade per tutti? Faremo.

“May the dances last forever”, suona la musica adesso, qui nello stadio meraviglioso che Calatrava ha disegnato per noi.

Che la danza non si fermi mai.

Siete tranquilli, vi sentite sicuri?

Avete visto, non c’è stato bisogno degli uomini neri venuti con le armi dall’America per proteggervi tutti: avevate così tanta paura, del terrorismo delle bombe delle stragi, ma era perchè non ci conoscevate bene, voi che qui ci venite in vacanza d’estate, con un pareo e una guida che traduce il nostro alfabeto.

Noi siamo il Sud e siamo l’Est.

Noi degli arabi siamo i vicini, e non abbiamo uomini in guerra con loro.

Le nostre truppe sono a casa, i nostri politici sono accorti.

Era sbagliato aver paura, qui, avete visto?

Ora guarda tutte queste bandiere, mondo: sono le tue.

Guarda questa mezzaluna che facciamo scendere dal cielo, e le stelle che abbiamo fatte accendere per te.

E’ vero.

C’erano stadi vuoti al principio: ma sarai d’accordo che sono gli stadi più belli del mondo.

Erano vuoti perchè la gente era in vacanza, a ferragosto, e un po’ perchè l’avevi tanto spaventata coi tuoi incubi.

Noi non abbiamo incubi, la notte: stiamo svegli, beviamo, fumiamo, facciamo l’amore.

Quando siamo tornati a casa abbiamo riempito gli stadi e le piste, hai visto?, guarda quanti siamo adesso e’ qui: decine di migliaia.

E’ vero.

Abbiamo fischiato l’America.

Poco, al principio, al galà di apertura, poi più forte per strada quando ci avete detto: “arriva Colin Powell” e fortissimo qua dentro quella sera che doveva correre Kenteris, il nostro eroe, e invece la parte dei padroni l’avete fatta voi, anzi loro.

L’America.

Noi non amiamo gli americani; noi siamo nati già vecchi, con la polvere bianca della storia che lascia la sua impronta sui nostri pensieri e i nostri dubbi, loro sempre così giovani, giovani e a volte prepotenti.

E’ vero, abbiamo applaudito gli afgani e i palestinesi e gli iracheni: sono un sud anche loro, e sono gli ultimi, un po’ ci somigliano.

E’ vero abbiamo applaudito i francesi, i tedeschi, gli italiani, loro sono l’Europa, siamo noi.

Ed è vero anche che non far correre Kenteris è stato giusto, alla fine, se non aveva rispettato le regole.

Il doping, sì.

E’ stata l’olimpiade delle droghe, la nostra, e per questo la ricorderete: ventiquattro casi, un record, la medaglia più brutta.

Ma nessuno potrà dire che è cominciato qui, le droghe c’erano anche prima noi le abbiamo imparate.

Le abbiamo usate, certo, e ci avete puniti: avete eliminato dalle gare i nostri eroi, ci avete tolto le medaglie già vinte ma anche gli altri però, anche voi baravate avete barato persino sul sacro suolo di Olimpia.

Tutti.

E allora che sia il principio questo di una stagione nuova: si ricominci daccapo.

“Unforgettable dream games” dice Rogge il belga padrone dello sport.

Giochi da sogno.

“Cari amici greci, avete vinto”

Avete ragione.

Sentite la nostra musica, stasera.

Guardate volare i nostri palloni d’argento.

E’ stato bello la notte avervi qui.

I ragazzi per la strada – i nostri e i vostri – stavano avvolti nelle loro bandiere fino alle cinque, nella taverne della Plaka.

Siamo stati felici di conoscervi.

Vi abbiamo molto amati.

Vi abbiamo preparato strade e ponti e metropolitane e villaggi.

Abbiamo pagato dieci milioni di euro, e non li avevamo e ci costeranno cari.

Alla Grecia, dopo resteranno solo i debiti”, dicono con l’ouzo nei bicchieri i nostri vecchi.

Li pagheremo.

Ci resteranno velodromi e campi di tiro da rimanere a bocca aperta e che nessuno userà più non sapremo cosa farne, pazienza.

Li venderemo, li affitteremo.

Li abbiamo fatti per voi.

Ci resterà una città più bella, però, anche.

Di questo grazie.

“Hellas”, grida lo stadio in piedi.

Grecia, sì.

Guardate questo bambino che sale su fino alla fiaccola, ora.

Crescerà, e cresceranno tutti.

Abbiamo anche sbagliato qualche volta.

Stasera, per esempio, mentre i maratoneti arrivavano nel nostro vecchio stadio – quello bianco di pietra, quello antico in città – c’è stato un pazzo che è entrato in pista.

Peccato.

Un errore così nell’ultima corsa la più importante, la più bella di tutte qui ad Atene.

Eravamo stanchi, abbiamo aperto le maglie proprio all’ultimo.

Abbiate pazienza, succede.

Non ricordateci solo per questo.

Ricordate Baldini l’italiano sul podio che canta e che ride.

Ecco, la cerimonia è finita.

Quello sullo schermo è il Partenone, siamo noi, quest’altro è il Tempio del Cielo.

Ci rivedremo a Pechino.

Noi non verremo tutti: saremo in pochi, anzi, pochissimi rispetto a voi che siete il mondo.

Però siamo fieri di avervi avuti qui, e stasera anche tristi.

Stanchi, abbiamo ogni pietra che ci pesa millenni, e tristi di vedervi andare via.

Non c’è rimedio per una storia che finisce.

Non si ferma, se ne va.

Allora ecco cosa vi abbiamo preparato per l’ultima notte: lacrime.

Migliaia di luci disegnate come gocce, una per ciascuno di voi: migliaia di lacrime che lampeggiano, per piangere insieme.

Lasciate che vi spieghiamo una cosa, noi che siamo così ricchi così poveri, noi che abbiamo attraversato la storia.

E’ bellissimo anche essere stanchi e tristi, quando si sa piangere insieme.

Illumina le tue lacrime, mondo: esibiscile come una corona non averne vergogna.

Solo gli uomi e gli eroi sanno piangere.

La Grecia ti saluta.

(Concita De Gregorio)

Zibaldone. Concita De Gregorio

) CONCITA DE GREGORIO

"Sono stanca. Stanca di spendere la metà delle energie p...er lottare perché questo partito cambi, per lottare contro cacicchi piccoli e grandi perché si tolgano il prosciutto dagli occhi e li aprano finalmente per guardare la ricchezza che hanno intorno".

2) CONCITA DI GREGORIO

Sono stanca di perdere pezzi per strada, gente che capisce come funzionano gli ingranaggi e che aspira solo a farne parte, rinunciando a quanto detto fino al giorno prima.

3) CONCITA DI GREGORIO

Sono stanca di vedere un partito che non si INCAZZA davanti alle ignominie delle pregiudiziali di costituzionalità opposte alla legge contro l’omofobia e non rende pubbliche e forti dichiarazioni in proposito, a cominciare dal segretario, un partito che all’indomani della vittoria dei referendum e di un Pride che ha visto un fiume di persone per affermare i propri diritti non trova di meglio che mandare D’Alema in tv.

L’espressione di una politica vecchia che piu vecchia non si può. E perdente, se non bastasse.

4) CONCITA DI GREGORIO

Sono stanca di vedere l’entusiasmo della base, dopo ballottaggi e referendum, mortificato dalle dichiarazioni di Bersani riguardo all’Udc, “nella testa dei cittadini c’è una saldatura non verbale ma sostanziale sulle questioni democratiche e sociali”. Una saldatura che vede solo lui.

Coloro che ha intorno, accecati dalla smania di potere, si guardano bene da fargli aprire gli occhi.

5) CONCITA DI GREGORIO

Sono stanca di ripetermi che rimango legata a questo partito, pur senza tessera, perché ci sono Sandro, Pippo, Ivan, Anna Paola, che non riesco a sostenere come vorrei e poi Patrizia, Eleonora, Dario, Davide, Meri, Simonetta, Elisa e tanti altri… perché trovo ingiusto disperdere tutte le energie per combattere all’interno, anziché per migliorare questa società e perché so che molti di loro condividono i miei dubbi.

6) CONCITA DI GREGORIO

Sono stanca di dovermi difendere, di farmi il mazzo per i diritti civili per poi sentirmi ripetere vorrei ma non posso, bisogna far quadrato, non si puo’ dividere il partito, etc etc. E’ un leit motiv nauseante. E deprimente.

7) CONCITA DE GREGORIO

Sono stanca dei boicottaggi. Nemmeno non ritesserarsi e rifiutare qualsiasi incarico a livello regionale è bastato.

8) CONCITA DE GREGORIO

Ma soprattutto mi chiedo se tutto questo abbia un senso, perché quello che sto facendo lo potrei fare meglio, in pace ed armonia altrove. Tra chi mi ha dimostrato di non avere paura di combattere e di avere a cuore quello che sto facendo. E mi piange il cuore scriverlo, non si tratta del Pd.

Stiamo tutti in piedi.

E’ da tre giorni che non faccio altro che leggere post e articoli riguardando l’affaire Concita De Gregorio e lo faccio ascoltando in sottofondo “Todo Cambia” di Mercedes Sosa, anche in questo momento il mio ipod suona la stessa musica.

Nanni Moretti ancora una volta è anticipatore degli eventi che, come oggi, ci stanno travolgendo, come quando anni fa disse “Con questi dirigenti non vinceremo mai”…

Il pensiero che mi frulla in testa è sempre lo stesso, la sinistra alla lunga non sa vincere … La base ha vinto i referendum , tutti insieme siamo stati in grado di piegare le aspirazioni di un Governo latitante, e di una intera classe politica che, dopo il voto, ha cantato vittoria. Ho letto da qualche parte Facebook ha vinto il referendum. E’ vero, tutti insieme non abbiamo dato tregua alle manovre di palazzo.

La vittoria è solo di quella che molti si ostinano a chiamare “Società Civile”.

Sono triste, la notizia delle dimissioni di Concita De Gregorio mi angoscia, io la seguo da sempre e da sempre la ritengo la migliore giornalista italiana. L’Unità grazie a lei era divenuta un punto di riferimento per quella base che , il più grande partito di sinistra continua a snobbare. E’ stata in grado Concita, di far sì che L’Unità, non fosse non solo un quotidiano degno della storia che ha, ma di farlo divenire la nuova agorà, era il”nostro luogo” ideale, dove ognuno potesse dire la sua.

Questa libertà, nei circoli di partito ( e ne ho frequentati) non accade più da tempo, io stessa ne ho fatto le spese, perché ciò che vige è il pensiero unico.

Non mi piace questa politica, non mi piace quello che è successo dopo i risultati del refendum, gridare alla vittoria, senza che questa vittoria sia figlia di alcun partito, se non forse dell’IDV che, in tempi non sospetti ha raccolto le firme.. E andare l’indomani in Tv come ha fatto d’Alema, a consigliare al Terzo Polo di pensare insieme al PD ad un governo di transizione.

Perché, perché ci si ostina a mortificare il popolo di sinistra in questo modo?? Chi è cresciuto leggendo certi libri, guardando certi film, sostenendo certe discussioni nelle agorà, non può tollerare questo atteggiamento. Non era il momento di eliminare Concita De Gregorio da Direttore dell’Unità, non ora che il vento sta cambiando, e sta cambiando perché, è la base che si è accorta che il berlusconismo è solo una montagna di carte (false).

Il rigore con cui chi è veramente di sinistra è nella pagine scritte da Concita De Gregorio, l’Unità era ormai il suo alter ego..”Vediamo un po’ cosa dice oggi Concita”..così in edicola, non ho mai nessuno sentito dire “Cosa dice L’unità”.

Questa personificazione, rende utile e facile intuire e comprendere che, siamo alla svolta, che abbiamo bisogno di fidarci di qualcuno, che i nostri modelli sono cambiati, che il futuro lo vediamo in modo diverso, che non ci sono nelle dirigenze di partito, politici che trasmettono la stessa fiducia che ha trasmesso e trasmette Concita De Gregorio.

Basta leggere quello che sta accadendo sul suo profilo di Facebook, basta leggere i commenti che ci ha regalato, basta rileggere il suo Zibaldone per comprendere che, non è stata una decisione condivisa, che non ci si può sempre piegare, che non è sempre giusto resistere.

“Sono stanca dei boicottaggi. Nemmeno non ritesserarsi e rifiutare qualsiasi incarico a livello regionale è bastato.

Ma soprattutto mi chiedo se tutto questo abbia un senso, perché quello che sto facendo lo potrei fare meglio, in pace ed armonia altrove. Tra chi mi ha dimostrato di non avere paura di combattere e di avere a cuore quello che sto facendo. E mi piange il cuore scriverlo, non si tratta del Pd”.

Così scrive Concita De Gregorio e ancora una volta scrive quello che in molti pensiamo.

Ho scritto a tutti i dirigenti del PD,perché mi diano una spiegazione che, non insulti la nostra intelligenza, come quella delle copie vendute in meno, l’unico che mi ha risposto è stato Walter Veltroni, a cui sono grata per le cose che mi ha detto, le sue parole confortano quello che ho sempre pensato che, la sinistra può rialzarsi solo se gli intellettuali che la dirigono tornino ad ascoltare il popolo vero, come ha fatto lui, in ogni momento, in ogni situazione.

Siamo tanti, non dimentichiamo mai, allora andiamo nelle piazze, teniamo uniti con i social network, scendiamo nelle piazze, in spiaggia chiudiamo le riviste e apriamo le discussioni, guardiamo i Tg che danno informazione vera, pochi ma ci sono, accendiamo la Tv solo quando questa racconta la verità, facciamo come hanno fatto a Napoli, a Milano.

Questa primavera dolce, che ci ha risvegliato non si deve disperdere, non dobbiamo lasciarci andare alla stanchezza, non dobbiamo finire mai di distinguerci dalla destra, non dobbiamo finire mai la frase, “E vabbè…è andata così”.

Siamo tanti, lo abbiamo dimostrato, non lasciamoci andare allo scoramento, non deludiamo chi ci ha insegnato che la testa bisogna tenerla sempre alta, non illudiamoci che qualcuno lo farà la posto nostro.

Alziamoci mettiamoci tutti in piedi, per il lavoro, per la libertà di stampa, per la meritocrazia, per la ricerca, per la scuola, per la vita semplice, per le amicizie fatte di emozioni e non di interessi, facciamolo per noil, per la nostra disgraziata generazione che Concita De Gregorio ha aiutato a ridestarsi, .

Alziamoci per ottenere un futuro migliore, perché siamo l’ultima generazione del Novecento, la più specializzata e la più mortificata; facciamolo per dire ai politici tutti che, loro sono lì perché qui ci siamo noi.

Concita De Gregorio ha scritto di tenere saldo il filo che ci unisce..io ritengo che il filo sia lo stesso. Noi qui e lei dall’altra parte, per questo le voglio dire grazie, perché ha saputo ascoltare, perché ha scritto, quando nessuno lo faceva, delle donne, dei precari, dei metalmeccanici, degli immigrati, senza avere paura di alcuno. Ha scritto per noi.

La nostra vittoria più grande siamo noi. Restiamo tutti insieme.

Ad maiora.

mercoledì 23 febbraio 2011

Ci sono momenti nella vita, in cui tutto quello che succede sembra non toccarti più. In questo momento sto vivendo proprio così, sono talmente proiettata nel futuro imminente, che, non riesco a farmi annichilire più come una volta dalle cose che spesso accadono. Ci sono persone a me vicine che soffrono, perchè nella vita si sono dedicate ad altre persone che oggi non ci sono più e questo le ha ha rese deboli, spesso gli h anche fatto perdere di vista se stessi.
Quello che sento oggi, è che forse bisogna avere presenti prima di tutto cosa siamo noi, prima ancora di prendersi la responsabilità di volere bene qualcun'altro. Bisogna vivere nella libertà di sentirsi ogni giorno capaci di scegliere che vita voler fare, senza obblighi dettati dalle circostanze.
Il mio nome oggi, solo io lo so dire, solo io lo riconosco, per come è, per quale suono ha, per il colore che manifesta, per il sogno che non trattiene più
Buona vita a tutti.