giovedì 31 marzo 2016

Chiuso per mancanza d’idee


"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza" (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120)

Chiusi nelle stanze del Castello come in un girone dell’Inferno, il Nostro e Il direttivo del Museo accompagnati dalla Rampante Assessora alla cultura, cercano un modo clamoroso per fare propaganda e saltare agli onori della cronaca.  Unica attività, per la verità,  a cui si dedicano a tempo pieno fin dal loro insediamento. (Da qualche tempo solo di questo si occupano da quelle parti). Passa il tempo ma nessuna idea illumina le loro menti.  Salgono allora in Cappella e si rivolgono, con finta e fervida devozione, alla nostra Patrona che guadandoli con tenerezza  e sguardo compassionevole dice loro: “Carù unnè u minuti, e dopo quello che avete combinato recentemente in questi luoghi  cca' unn' aviti nenti 'i fari e cchi circari”. Tentano ancora con un'ultima accorata supplica alla Patrona la quale, però, rimane irremovibile. Stanchi, provati e demoralizzati, (sentono i morsi della fame e la flemma del sonno,) ma non disposti a rinunciare alla loro mission di “galleggiare sugli albori della cronaca”,  sommessamente dicono: “Ccià essiri na cosa nova da propagandare;... il falso bando u facimmi, ...a passerella di  presidenti a ficimu,…. i sordi l’ami spinnuti a beddru cori,…. Chi cosa putiemu fari?”. A un certo punto, il Nostro, acuto e avvezzo all’innovazione esclama: “Chiudiamo il Castello “a singhiozzo” e cosi,tutti ne parleranno”. “Geniale”!- si sente esclamare dalla Direzione - “tanto la mia costante presenza al Castello non è indispensabile e,  poi, una proposta così “estemporanea”,  sul piano dell'immagine, sarà più efficace e produttiva,   delle mie  incomprese scelte di arte contemporanea”. “Non solo”- continua il Nostro- “dobbiamo dunque procedere cambiando  l’orario di apertura del Castello. Per es.: apriamo il lunedì ma solo dalle tre alle cinque di notte. Il martedì chiudiamo. “E la messa di Sant’Anna cu ciù dici all’Arciprete”  - sentenzia la Rampante. - “TU” dice il Nostro e continua….Tutti i giorni di festa. Natale, Capodanno, Pasqua, lunedì di Pasqua, venticinque aprile, Primo maggio, Sant’Anna, Novena compresa, Ferragosto, Crocifisso, San Vincenzo, Santa Lucia di campagna e pure quella di città, San Giuseppe, tutti i tridui e pure per l’Ypsigrock e ovviamente pure per il mio compleanno …...CHIUDIAMO TUTTA LA GIORNATA. Il mercoledì  APRIAMO, solo durante il vespro, dalle diciotto alle diciannove. Il giovedì solo il pomeriggio, dalle 14.37 alle 15.07, accussì i chistiani  'a matina puonni iri o mircati senza pinsera. Poi i mesi: novembre chiuso, ma solo in anni bisesti. Dicembre poi vediamo, febbraio chiuso  mentre a Gennaio, questa è proprio una genialata, APRIAMO  a SORPRESA, ma comunque  solo la prima settimana e l’ultimo giorno del mese. U venerdì, na vota sì e na vota no,  a secunni di comi nni gira. Sabato solo la mattina, ma solo una volta al mese e domenica CHIUSO.  'U viditi comu sugni spierti, chi sugni bravi, 'nna na botta truvai 'na soluzioni pi tutti cosi”. Senza cuntari ca natr'anni ci su l’elezioni e accussì puri l’impiegati su chiù cuntenti”. Trovata la soluzione, il Nostro, la Rampante e quel che resta dell’Amministrazione del Museo, si sentono in una botte di ferro, hanno saputo fare squadra, tutti parleranno della loro genialata. Altro che tavolo tecnico delle Istituzioni!  Il Nostro ha già diramato il nuovo ordine al collaudatissimo sistema alert! Un cittadino che ogni giorno si reca a Sant’Anna per devozione, salendo le scale, li vede euforici fare festa e chiede il perché di così tanta allegrezza: “Abbiamo deciso di Rapiri e Chiudiri u Castieddri” 'a singhiozzo”, dice sinuosa la Rampante mentre si fa scivolare sulla ringhiera delle scale. Incredulo, il devoto,  esclama soltanto una flebile frase: “Minchia!!! E siddri uni a veniri a truvari a Matri Sant'Anna cchi fa? Prima  si prenota, pua sona u campanelli e scinni iddra a rapiri 'u purtuni?i”.

venerdì 18 marzo 2016

L'intervento di Padre Di Gangi sulla Cappella Palatina


06.03.2016

 

Cari Castelbuonesi,

Vi scrivo come parroco, ma anche come sacerdote che cura, nella nostra Castelbuono in prima  persona, la devozione alla Santa Patrona celebrando il culto nella Augusta preziosa Cappella, che custodisce il Sacro Teschio. L’occasione, come si comprende, è data dall’utilizzo della Cappella, per una promozione artistica di alta moda con ispirazione dei panneggi serpottiani. Ideata da una giovane stilista castelbuonese, l’iniziativa, come precisato dalla Presidente del Museo Civico, doveva limitarsi alla ripresa fotografica di panneggi e particolari. L’idea si è poi ingrandita nel percorso, fino al defilè davanti all’altare con il tabernacolo e alla custodia del Sacro Teschio, per essere ostentato nel calendario poi distribuito. Sono portato a pensare che il fatto ha raggiunto queste dimensioni sotto la spinta della euforia degli ideatori e organizzatori, compiaciuti della originale idea che li entusiasmava man mano che ne riusciva la realizzazione. Penso ancora che la loro intenzione è stata scevra da ogni volontà di profanazione e di sacrilega offesa alla devozione del popolo di Castelbuono. Ciò non toglie che sia stata naturale la reazione risentita del popolo devoto espressa da diverse voci che ne sono state la risonanza. E’ stata ovvia la nota della Curia che, con seria sobrietà, ha rivolto il suo richiamo, per altro subito accolto, alla Direzione del Museo Civico, al Sindaco, e al Sacerdote officiante. Nel dibattito vivace sono emersi argomenti interessanti che, manifestano posizioni dialettiche sicuramente costruttive, ma che giungono a riflessioni forti e considerazioni fuori dalle righe. Prima di offrire qualche pensiero che attinge a qualche modesto studio, alla fede e al mio ufficio di sacerdote, vorrei paternamente dire una parola sia a chi si sente offeso, sia a chi difende la libertà senza limitazioni, in nome del progresso e della promozione culturale moderna. A chi si sente colpito e offeso nella fede e nella devozione, dico: è eccessivo parlare di sacrilegio inteso e voluto; può bastare parlare di leggerezza forse di intemperanza. A chi, in nome del progresso, gratifica di arretratezza e oscurantismo medievale quelli che hanno sofferto per i risvolti, pensiamo sempre preterintenzionali del fatto, vorrei dire che la fede investe il cuore, che ha le sue ragioni. Pertanto si soffre con vero dolore quando ciò che è sacro viene anche solo non rispettato. Vera laicità è quella che riconosce, rispetta e favorisce la religiosità come dimensione essenziale dell’uomo. Ogni uomo va considerato e rispettato come incline e aperto alla religione, come, per esempio, al Bello (estetica). Un’ altra sommessa osservazione: nella foga del confronto a qualcuno, pare sia sfuggito il noto luogo comune “oscurantismo medievale” . Forse è meglio concludere che dove c’è chiusura, rifiuto, intolleranza e meno dialogo c’è oscurità e questo può accadere, ahimè, in ogni epoca. Questi accenni mi immettono nella considerazione che intendevo offrire, con discrezione, alla Comunità, prendendo le mosse da ciò che è accaduto, ma superandone i risvolti polemici. Ogni opera, quanto più è bella, tanto più immette nella sfera trascendentale; anche l’artista che non è mosso in primis da emozioni religiose nella vera creazione artistica introduce, nel mondo del mistero. Diverso è il moto creativo dell’arte sacra; essa nell’intendimento, nello svolgimento, nella varietà di stilemi, diversi nelle epoche, si mette in maniera chiara e inequivoca a servizio della fede del culto, della preghiera, della liturgia. Com’è facile pensare alle grandiosità visive, ai cicli pittorici, solennemente indicati e goduti come “ Bibbia e teologia pauperum!”. Il Fatto biblico o la verità teologica, più che inibire la bellezza, esaltano il genio dell’artista. Chi può non respirare il clima sacro che ispirano inconfondibilmente le cattedrali di ogni tempo e di ogni latitudine? Oh! Se i nostri cari giovani fossero entrati nel luogo serpottiano con la chiave che apre la lettura teologica così vasta, così palpitante, così evocativa del Mistero Cristiano. Certamente avrebbero percepito l’ammonimento biblico: “Togliti i calzari  perché la terra che tu calpesti è sacra”. I Serpotta, hanno circondato il Sacro Teschio di simboli che espongono, intrecciandosi armoniosamente, il poema sacro della fede cristiana. Avendo la possibilità di studiarla e di goderne, almeno tutti i martedi, mi provo ad offrire, qualche notizia e qualche suggestione. Entrando, bisogna subito alzare lo sguardo al di sopra della nicchia, custodia del Sacro Teschio. Cosa dice quella grande Aquila, così viva, che attrae e soggioga? Essa è il simbolo del Dio Unico Luce e Amore: Amore che vive nelle tre divine persone simboleggiate, appena sotto, dai tre Angeli distinti e uniti in armoniosa dovizia. Quello che sta in basso, sembra discendere e lascia volare un drappo: il Figlio scendendo dal seno della Trinità, il Velo dal Mistero del Dio uno e trino. Altro che mero svolazzo ornamentale dell’arte serpottiana! Osserviamo poi, le due scene plastiche che vivono nelle due ben disegnate e ornate cavità, in linea con la nicchia reliquario. Rappresentano la Bambina Maria presentata al Tempio e il suo sposalizio con Giuseppe. ( Sempre presenti Gioacchino e Sant’Anna). Risaltano nella zona ad esse sottostante, ma ad esse collegati, i tre Angeli-Trinità, mentre nella zona ad esse superiore, gli angeli sono due, quasi si specchiano. Alludono, questi, alle due nature, divina e umana, che consistono nella unica persona di Gesù, Dio-Uomo. Il genio di Serpotta, in modo mirabile, con l’una e l’altra soluzione artistica ci dice che l’umile storia di Maria, che ha radici in Sant’Anna, ha a che fare con i grandi misteri del disegno di Dio. (Termine fisso dell’Eterno Consiglio canterà poi Dante). Dopo le visioni mistiche, troviamo in basso le due coppie di lottatori, mirabili e inquietanti che tanti interrogativi e tante ipotesi continuano a suggerire. A me sembra siano tema-preludio del poema che si svolge nelle due pareti della navata. La lotta drammatica del bene e del male, presente nella creazione è sviluppato e rappresentato nell’ordine vegetale, animale, umano in modo plastico e sorprendente. Vi si intuisce San Paolo ai Romani: “Tutta la creazione geme e soffre nelle doglie del parto aspettando la redenzione”. Così, vediamo le grandi foglie di acanto ampie ed eleganti che riservano alla radice, come un seme, il viso  grazioso di un bimbo mesto; gli stanno accanto, nella stessa radice, come seme maligno, una coppia di strane bestie. Nelle paraste che si sviluppano nelle due pareti, convivono frutti sani e altri bacati, come anche animali che pur belli, tendono ad alternarsi in mostri, le facce umane diventano maschere. Gli umani accanto alle finestre, pieni di straordinaria vita, nei volti e nei movimenti, alcuni presentano espressioni malvage, altri sono sereni ed estatici. Ma alla base, a tutto campo, angeli grandi, belli, in coppia nella loro danzante  e lieta simmetria, richiamano il Signore e Salvatore con le due nature umana e divina. I voli dei panneggi, alludono sempre alla sua Rivelazione. Non può mancare il simbolo della Sua Redenzione  operata con il sangue: simbolo espresso in cima alle quattro paraste centrali con la scena del pellicano che squarcia il petto per nutrire i piccoli.  Da notare in questo simbolo la doppia simmetria, frontale e  laterale. Sant’Anna così viene rappresentata nella Cappella come radice umana dei grandi fatti della Salvezza e così viene appresa e amata nei secoli dal suo popolo. Questa fede e questo amore che continuamente vivono nel popolo, si sono manifestati, di recente, nella grande corale celebrazione del Centenario 2013. Rimembriamo ancora quei giorni: chi può dimenticare quella pioggia battente del 6 febbraio 2013 che cessa istantaneamente alle 18.30, consentendo di iniziare all’ora stabilita la processione fiaccolata, per giungere alla Madrice, che si colma fino all’inverosimile di presenze giovanili e subito dopo riprende la pioggia? Chi può dimenticare l’affluire di giovani, di bambini delle scuole, delle famiglie, soprattutto degli ammalati quel venerdì 12 febbraio? Ricordiamo che il Castello è stato comprato nel 1920 dal popolo di Castelbuono con le offerte tanto stentate in quel tragico dopoguerra, raccolte portando il Sacro Teschio per le vie, anche le più remote. Il Castello sicuramente è stato riscattato perché conteneva la Cappella, custodia della Santa Reliquia. (Si avvicina il Primo Centenario di quel grande e forte avvenimento). Queste considerazioni, che potrebbero essere rafforzate visitando tanti testi biblici, possono introdurci a concludere che, con un po’ di attenzione potranno, in futuro, essere evitare contaminazioni. A vantaggio, certamente della fede, ma anche  forse del buon gusto e del buon esempio.

Il Consigliere d’eccezione


“La legge è sempre stata creata solo perché si potessero fare delle eccezioni; l'eccezione è la cosa principale.”  Goethe.

Un vecchio detto dice che chi nasce incendiario muore pompiere e anche a Castelbuono ne abbiamo un esempio evidente. Quella che vi vogliamo raccontare è la storia del giovane Consigliere comunale d’opposizione che all’Eccezione ha dedicato la sua naturale propensione. Se è diventato difficile capire come l’Amministrazione continua a stare a galla, forse questa storiella può aiutarci a trovare una qualche risposta. Tempi incerti e pure strani, viviamo come legati a strani astrali. Nessuno li sa discernere bene, tranne uno, uno solo ha capito tutto della politica e di come starci dentro. Sempre attento all’avanguardia, lascia appena si insedia tutto quello che prende, che sia un partito, un Assessorato o  Circolo. Ciò nonostante, diviene anche Presidente di una commissione consiliare a dir poco Speciale  che dovrebbe indagare sul patrimonio disperso della bella Castelbuono. Rilascia dunque una dichiarazione in cui promette di svelare le magagne dell’Amministrazione. Ma il Consigliere d’Eccezione, coerente al suo pensiero, decide anche, dopo il primo periodo di entusiasmo, di non partecipare più neanche al Consiglio comunale. Il Nostro, attento alle regole e al rispetto del Consiglio comunale, ligio al dovere lo fa notare. A quei pochi che gli chiedono, sbuffa e dice che deve fare da Eccezione per una futura  Avanguardia, deve distinguersi dalla tradizione che diamine! Inizia così a occuparsi di  moda, lui che ne ha inventate tante.

Così, con un colpo di genio, dimentica il mandato di consigliere comunale e veste i panni di quello di consigliere d’immagine.  Scambia per  giunta lo scranno della politica con l’artare della Cappella e invece di far dire messa, lui di sinistra, ateo e pure comunista, in compagnia di un noto Maestro d’arte, fa della Cappella un mercato dell’arte. “Niente più regole dunque, rispetto né Bene Comune, tutto è fatto per essere Avanguardia e Eccezione”. Questo, si dice, sarà lo slogan che userà alle prossime elezioni. E’ forse per tale ragione che non si occupa più di fare opposizione? Quello che in molti si chiedono è, com’è possibile che un consigliere così, abbia trovato sempre il modo di essere considerato politicamente da coloro che gli hanno dato credito? Quale contributo fattivo ha dato alla politica nel suo lungo corso? Ma è forse questo quello che di meglio può fare l’opposizione, scimmiottare il Nostro e la sua coalizione.

martedì 8 marzo 2016

Il caro estinto

Cu si mazzia a destra, cu si mazzia a sinistra, nella Casa comunale, il Nostro e i suoi non si danno pace. “Me l’hanno tolto, me l’hanno tolto. Maledetti!”, urla sconsolato. Da quando il Consiglio comunale non ha approvato la continuazione del Mercato del contadino, il Nostro e la sua mini maggioranza non si danno pace. “Un’idea avevo copiato e manco questa mi hanno salvato”. Per l’accaduto è stato decretato il lutto cittadino e le bandiere sono state messe a mezz’asta. Le campane di tutte le chiese suoneranno a morto da qui al 2017.  I fiorai del paese hanno ordinato una quantità immane di fiori per l’accaduto. I bambini delle scuole disegneranno, cucuzze e carduna in  un murales posto nella facciata del Castello. I fruttivendoli non venderanno più verdure per almeno un anno. Cu i vò, si va cogli in campagna. Un presidio continuo si terrà nell’aula consiliare per accogliere le condoglianze. Il Nostro e i suoi seduti a giro nell’aula istituzionale, aspettano la cittadinanza per le condoglianze.
“Dunni l’accattami ora 'u pani e un mazzi di vurranii? Comi ami a fari? Cu ciù dici ora e cincu chistiani chi ci iavani, ca i sinapi un ci su chiù?” Inconsolabile, piange a dirotto e non si rassegna neanche quando, alcuni cittadini presi dalla tenerezza, portano ppi cuonsulu 'u manciari di San Giuseppi rigorosamente a km 0: “Dove le avete comprate queste verdure? Da dove provengono? Sono a km 0?” Si chiede imperterrito il Nostro. Nessuno riesce a lenire la sua infinita tristezza, lui alla dieta mediterranea ci tiene.
Si vocifera che i suoi accoliti fedeli, messi in un lato della stanza, si dicano costernati  ma con tono consolatorio: “in definitiva  amu patutu umiliazioni  chiù gravi, unn' è u casi di fari accussì”.  Alcuni proprio non capiscono e a dirla tutta si sono pure stancati. “Si fissavi cu ssu km 0 e un ci po’ nenti”,  dichiara qualcuno fuori dai microfoni. “A virità è che non funzionava, il posto era sbagliato, e poi due sole bancarelle,  non si possono chiamare mercato. Sbagliammi e basta, ma guai a dirlo a LUI! Non lo contrariamo ….. Pirchi  è capaci ca nni ietta fora”.
Intanto un altro urlo isterico pervade la stanza: “Che colpa ne ho io se non ci andava nessuno? Che ci posso fare io siddri era luntani?  Che c’entro io con questa miserevole disfatta? Io ho semplicemente copiato l’idea e gli altri dovevano realizzarla.  E' mai possibile  che debba pensare e fare tutto io?
In effetti il posto era lontano, il Parco delle Rimembranze, chiuso sempre alle famiglie e ai bambini, a mala pena veniva aperto per queste due bancarelle.
L’assessora alle attività produttive molto annoiata dall’atmosfera mentre si rifà il trucco, cerca di consolare il Nostro: “Nenti un ti preoccupare ci riproveremo, tanti cu nn’ha diri nenti?”, “E dove? Dove lo possiamo allocare? 'U puosti, servi 'u puosti,  possibilmenti centrali ”….

A queste parole, un cittadino svogliato, passando si ferma, e dice: “Talè, secunni mia u putiti fari cà, ' u puostu è centrali.  E accussì  'a genti,  passanni,  capisci che l'aula consiliari può avere finalmente una destinazione d’uso  veramente produttiva”.

venerdì 4 marzo 2016

Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza

Lentamente, molto lentamente prendetevi del tempo e andate a cercare il Paese del dente di leone. Lì e solo lì troverete tanti piccoli esseri che vivono in armonia tra loro, sono così piccoli e innocui che noi umani neanche li consideriamo, ma è un mondo infinito, dove si esprime molta vita. La loro è un’esistenza piccola, molto piccola eppure tanto fantastica. Vivono tutti insieme, anche se sono di natura diversa. Loro non sono come noi umani, non si guardano con sospetto, mangiano, camminano, si danno consigli. Solo nel Paese del Dente di Leone, una lumaca e una tartaruga possono fare un tratto di vita insieme. Si conoscono per caso, ma non ci fanno caso e iniziano a parlare, come se si conoscessero da sempre. La tartaruga dal nome Memoria battezza la lumaca dalle mille domande con il nome di Ribelle. Noi umani non amiamo i ribelli, li ostacoliamo, li allontaniamo perché ci spaventano. Memoria, invece, che conosce gli umani e sa quanto crudeli possono essere, chiama Ribelle la lumaca che, da sola, ha osato allontanarsi dalla sua colonia, per conoscere la verità. Chi è, perché è così lenta e perché non ha un nome? Sono amiche Memoria e Ribelle. Senza Memoria non può esserci ribellione, senza conoscenza del passato non si può criticare il presente e migliorare il futuro. E’ saggia Memoria, è anche stanca, ha accumulato tanta esperienza, è stata ferita, amata, accudita e infine abbandonata. Questo, tutto questo bagaglio, lo porta dentro di sé e ne fa tesoro, non lo disperde, lo conserva gelosamente. Memoria è intelligente e così da una mano alla lumaca, sempre crucciata della sua lentezza. Le fa conoscere la bellezza dell’essere lenti, perché permette di vedere i pericoli, saperli valutare e infine scegliere è importante.
Ribelle è estasiata, la conoscenza con Memoria le ha cambiato la vita, l’ha resa consapevole delle sua capacità, dell’importanza di porsi delle domande, di non stancarsi mai di conoscere e di avere curiosità per la vita e per se stessa.
E’ una storia profonda, vera. L’amicizia prima di tutto, anche da chi non te lo aspetti; il rispetto per le idee altrui, la curiosità, l’incessante portare dietro con sé il passato e renderlo vivo nell’insegnamento. La saggezza che si tramanda, la gioventù che spinge oltre le porte di ciò che è banale, fermo, immobile.
Vecchiaia e giovinezza, odio e amore, stanchezza e lentezza, egoismo e altruismo. Possiamo ancora imparare dalle fiabe, come gli antichi ci hanno insegnato, tanto e molto ancora da una lumaca che grazie alla tartaruga scoprì l’importanza della lentezza.

TESTO
“ Una volta sistemata là sopra, dietro la testa della tartaruga, la lumaca chiese dove stava andando, ma l’altra ribattè che non era la domanda giusta e che avrebbe dovuto chiederle invece da dove veniva. Così, mentre da lassù la lumaca vedeva passare le erbe del prato a una rapidità sconosciuta, la tartaruga le raccontò che veniva dall’oblio degli esseri umani.
“Non so cos’è l’oblio e non conosco nemmeno gli esseri umani” sussurrò la lumaca.
Allora la tartaruga diminuì la velocità e parlò del suo ingresso felice in una casa dove non mancavano mai le fresche foglie di lattuga, la sugosa polpa di pomodoro e il dolce nettare delle fragole. Dei piccoli di umano si prendevano cura di lei, la coccolavano e le avevano persino preparato un comodo letto di paglia in fondo al giardino. Nei giorni di sole cocente quel giardino era il suo mondo, ma quando la fredda pioggia accorciava le giornate e poi quando la neve trasformava il cortile in una gelida distesa inospitale, i piccoli di umano la portavano in casa e la facevano dormire in un angolo tiepido e accogliente.
“Non si può dire che te la passassi male” commentò la lumaca.
“Non mi lamento, ma gli esseri crescono e dimenticano” sospirò la tartaruga e le riferì come, col trascorrere del tempo, man mano che i piccoli di umano erano diventati prima giovani e poi adulti, le attenzioni erano costantemente diminuite, il cibo si era fatto più scarso, finchè non l’avevano considerata soltanto una presenza molesta di cui bisognava liberarsi e l’avevano abbandonata nel prato.
La lumaca si rattristò a sentire la storia della tartaruga e divenne ancora più triste quando lei, sempre cercando lentamente fra le tante parole che conosceva, le disse che stava attraversando quel prato, fra esseri strani a volte gentili e a volte ostili, per sempre lontana da quella che era stata la sua casa, perché era diretta in un luogo vago che aveva per nome la parola più crudele. Si chiamava esilio.
“Dimmi prima cosa cerchi” rispose la tartaruga, e la lumaca le spiegò che voleva conoscere i motivi della propria lentezza e anche avere un nome, perché l’acqua che cade dal cielo si chiama pioggia, i frutti dei rovi si chiamano more e la delizia che cola dai favi si chiama miele. E poi le spiegò che la sua domanda e il suo desiderio irritavano le altre lumache, al punto che avevano minacciato di cacciarla dal prato, e che lei aveva preso la decisione di andarsene e di non fare ritorno finchè non avesse avuto una risposta e un nome.
La tartaruga cerco con più calma del solito le parole per replicare e le raccontò che durante la sua permanenza presso gli umani aveva imparato molte cose. Per esempio che quando un umano faceva domande scomode, del tipo: “E’ necessario andare così in fretta?” oppure “Abbiamo davvero bisogno di tutte queste cose per essere felici?” lo chiamavano Ribelle.
“Ribelle, mi piace questo nome!” sussurrò la lumaca. “A te gli umani hanno dato un nome?”:
“Sì, visto che non ho mai dimenticato la strada di andata né quella di ritorno mi hanno chiamato Memoria…ma poi sono stati loro a dimenticare me”.
“Allora, Memoria, proseguiamo insieme?” domandò la lumaca.

“D’accordo, Ribelle” rispose la tartaruga e girando su ste stessa lentamente, molto lentamente, le spiegò che sarebbero tornate sui loro passi perché voleva mostrarle qualcosa di importante. Qualcosa che le avrebbe fatto capire che erano compagne di strada fin da prima di conoscersi.

giovedì 3 marzo 2016

Le mani sulla cultura

“Cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che chi studia sia consapevole della dignità. L’uomo di cultura deve reagire a tutto ciò che è offesa alla sua dignità, alla sua coscienza. Altrimenti la cultura non serve a nulla”.
(Oriana Fallaci)
Nei giorni scorsi abbiamo avuto il piacere di partecipare alla conferenza del Prof. Camillo Palmeri dal titolo “1316-2016. I momenti fondamentali del prestigio Castelbuonese”, incontro organizzato dalle due associazioni storiche di Castelbuono, Auser e Ceres. La conferenza molto partecipata si è tenuta alla Sala delle Capriate della Badia di un sabato pomeriggio. Il Prof. Palmeri ancora una volta con la sua importante preparazione unita a passione, ci ha condotto in un viaggio lungo settecento anni che ha visto Castelbuono meta e anche crocevia di tante storie e popoli. Bizantini, Ebrei, Spagnoli, Normanni, Arabi. Attraverso l’aiuto di fotografie abbiamo potuto toccare con mano la posa della prima pietra del Castello, le gesta di Francesco I Ventimiglia fondatore di Castelbuono, quelle di Giovanni I “padre putativo” degli arieti di Bronzo portati fin qui dal Castello di Maniaci di Siracusa. E ancora, la Venere Ciprea, le strade, i giardini, il belvedere, i vicoli, le fontane, le chiese. Al centro di tutta la disquisizione lei, la Reliquia di Sant’Anna, vera “arma segreta” della conservazione del Castello e punto di riferimento da sempre di tutta la Comunità.
Camillo Palmeri è un uomo appassionato della sua Castelbuono e non perde occasione per insegnarci quanto è bella la nostra storia, così vicina e così tessuta insieme con altre storie che in Sicilia si sono consumate. E’ stato un momento importante per chi era lì e che ha potuto ascoltare anche storie che non sempre si tramandano. Quello che però è stato subito evidente erano le assenze importanti e la sede della conferenza. Un tema così importante per la nostra Comunità com’è che non è stato prodotto dal Museo Civico? Com’è che la conferenza si è tenuta alla Sala delle Capriate e non, com’era giusto che fosse, nella Sala del Principe del Castello della Ventimiglia alla presenza di tutta la dirigenza del Museo Civico? A dire il vero quella dirigenza era assente anche alla Sala delle Capriate; assenti erano anche tutti i consiglieri comunali, quasi tutti gli assessori, mancava in particolare quello alla cultura. Assenti erano tutti i membri dei CdA delle Istituzioni comunali. A pensarci bene, anche in moltissime altre occasioni le amministrazioni delle Istituzioni culturali sono assenti, così come la politica. Quello che viene in mente a questo punto è, che fine ha fatto il Tavolo tecnico delle Istituzioni comunali? Passato inosservato per l’Istituzione museale il Cinquantesimo anniversario della nascita del Museo Civico, non era forse questa un’occasione per dimostrare che almeno non sono del tutto perduti i fini istituzionali del Museo? Che forse non dobbiamo temere che sia solo una galleria di arte contemporanea così come ce ne sono tante in ogni città? Solo dalla conoscenza e dal rispetto della storia si può creare quel progetto culturale che tenga conto della diffusione dell’arte, dei progetti di restauro, della divulgazione dei tesori che, qui, in molti angoli e luoghi sono conservati da secoli. Non ci risulta ci siano, infatti, allo studio progetti di ricerca sul patrimonio artistico e storico. E’ stato totalmente abbandonato quello relativo alla pubblicazione sullo studio e la storia del reliquario di Sant’Anna?
Eppure l’Amministrazione fa sempre un gran parlare di eventi culturali. Ma se la memoria non ci inganna, solo il Centenario della donazione del Teschio di Sant’Anna alla popolazione e il Bicentenario della nascita di Francesco Minà Palumbo sono stati eventi organizzati in modo corale da tutte le Istituzioni culturali che hanno avuto grande successo e hanno saputo coinvolgere le scuole, le altre Istituzioni pubbliche e tutta la cittadinanza. Qual è, dunque, il progetto culturale per Castelbuono se in incontri così importanti, e non solo,  la politica tutta è assente? Come potrà Castelbuono traghettare le future generazioni a traguardi culturalmente rilevanti se non c’è considerazione per la storia? E’ mai possibile che il successo, (così c’è raccontato), degli eventi culturali sia solo legato alle inaugurazioni più o meno partecipate e non sia invece un processo lungo e meditato in cui l’insegnamento e la divulgazione del nostro patrimonio culturale sia punto fondamentale? Tanti sono gli interrogativi legati anche al Museo Naturalistico Francesco Minà Palumbo che a breve dovrebbe trasferirsi a San Francesco. E’ già allo studio un progetto per l’organizzazione interna della collezione? Si è già pensato come fare fruire i visitatori che dal Castello dovranno andare a San Francesco? Qualcuno sta pensando che è opportuno che San Francesco non resti una cattedrale nel deserto, come forse sta per diventare la Chiesa del Crocifisso? In effetti a pensarci bene, la Fondazione con il Sud ha impiegato non pochi quattrini per il restauro e la messa in sicurezza. Il sindaco ha sempre parlato che lì dovrebbe sorgere un Laboratorio urbano, senza però mai chiarire di cosa si tratta. Esiste un progetto reale o è solo “annucite”?
La politica però, usa ancora la cultura come specchietto per le allodole. Scollata ormai dalla Comunità, viaggia verso lidi che nessuno ha capito non tenendo conto dei fini istituzionali, in particolare dei due musei. Si cambiano le regole solo sulla parola, nessuno ha il coraggio di cambiare lo Statuto, per esempio del Museo Civico.  Per farlo, in effetti, bisognerebbe averlo letto e studiato e avere il coraggio e le idee chiare di come farlo. La politica tace, quella che amministra e quella che ha smesso di fare opposizione. Nessun progetto, nessuna programmazione che tenga conto dei bisogni della Comunità e della crescita culturale che certamente rischia di non esserci.  Di chi sono dunque le mani che stanno sulla cultura? Chi è la mente che opera e gestisce il tutto? Che cosa resterà delle nostre Istituzioni culturali e del sogno di molti di fare di Castelbuono un museo diffuso? Un luogo aperto alle contaminazioni, ma che non nasconde o dimentica la sua storia e le sue tante bellezze architettoniche?  
Tra circa un anno ci sarà la campagna elettorale e vedrete che nei comizi si lanceranno strali contro chi ha amministrato, si prescriveranno ricette innovative e appassionate sulla cultura. Si farà solo in quella sede dove, in molti, dovranno cercare di convincere i cittadini che il progetto migliore è quello che hanno in tasca. Sarà forse troppo tardi, chi, infatti, non fa il suo dovere ora, nel ruolo che riveste, sarà, dopo, solo una figura come tante che dirà qualcosa, ma che avrà contribuito a compromettere quanto di buono nel passato è stato fatto. La politica, anche e in particolare modo, si fa sempre, ogni giorno, non solo durante le elezioni, solo così si può lasciare il segno nelle nuove generazioni e non dimenticare quelle che fin qui ci hanno portato. Educare al senso civico si chiama.
Bisogna dunque ringraziare Il Prof. Camillo Palmeri, le due associazioni che hanno fatto bene a organizzare questo importante incontro, con il quale abbiamo ancora una volta avuto la conferma che discutere di storia e di arte è uno incipit da cui nessuno può e deve sentirsi escluso. La cultura se non giunge a tutti, se ha non ha come fine quello di creare una coscienza civile, non è tale, è solo offesa al passato e odierna vetrina.