venerdì 22 novembre 2019

L'ARROGANTE


“Chi nel successo diventa presuntuoso
non sa più ascoltare nessuno,
diventa incapace di leggere la realtà
e confida solo nella sua arroganza”
Enzo Bianchi
Chi di noi non ha mai incontrato nella vita un arrogante? Il tempo stesso che stiamo vivendo è arrogante in se stesso. Lo viviamo ogni giorno, chi  parcheggia male la propria auto bloccando il traffico, chi non rispetta le code negli uffici pubblici, chi vuole primeggiare su tutto a discapito di tutti. L’arrogante è in mezzo a noi, sempre. Al primo sguardo sembra forte, invincibile, con i suoi modi tende a dividere le persone per primeggiare. Calpesta la dignità di chiunque e non mostra rispetto per il pensiero altrui. E’ spesso litigioso nei modi così come nella parole. Detesta che qualcuno possa emergere e lo impedisce con ogni mezzo.  Ogni giorno assistiamo a dichiarazioni irresponsabili e anche violente che denotano un impoverimento culturale ormai quasi inarrestabile. Non ci sono più i tempi consentiti da una conversazione civile seppur di idee opposte. L’arrogante schiaccia le idee diverse dalle sue con qualsiasi mezzo. Quello che dovrebbe preoccuparci di più è quando l’arrogante è un politico, colui che detiene il potere di “fare” o “non fare” le cose. Lo abbiamo visto, le sorti del nostro Paese, sono state legate e lo sono tutt’ora a personaggi che perseguono solo la loro affermazione. Essi hanno la capacità di impoverire la cultura di convivenza civile, dando segnali egocentrici e del tutto sbagliati. Non è facile individuare il vulnus che crea l’arrogane perché, parlando alla pancia e non alla mente, attecchisce in chi vuole che le “proprie” esigenze vengano messe in primo piano. Quanto è falso tutto questo. Creare un nemico, aizzare sulle insofferenze, rendere divisivi i cittadini. “Divide et impera” è il suo motto. Ma perché lo fa l’arrogante? Egli è di solito, un uomo che si arroga il diritto di scegliere sempre il meglio, di non sbagliare mai e di ergersi a capo-popolo senza però averne le capacità intellettuali. Non è mai roso da nessun dubbio. Conosce i propri limiti, ma non ammettendoli li usa a suo favore. Sembrerebbe un controsenso, m questo è alla base del tempo barbarico che stiamo vivendo. L’incapacità di sapere ascoltare, di dare una lettura sbagliata della società, si tramutano in scelte scellerate anche nella gestione dei soldi pubblici. Confidando solo nella sua arroganza, sceglie il metodo più veloce per non scontentare nessuno e per premiare gli istinti più bassi, che non hanno bisogno di convincimento culturale, “Mala tempora currunt”.
Non sappiamo come andrà a finire, ma sarebbe bello se ognuno facesse la nostra parte, sarebbe immensamente positivo se scegliessimo persone perbene e non quelle che sembrano le più “simpatiche”. Il vivere civile non ha bisogno di battute dette per pura propaganda, ma di capacità e visione. Cominciamolo a farlo nei nostri piccoli centri, con la fortuna, come dice qualcuno “che ci conosciamo tutti”…




mercoledì 16 ottobre 2019

CHIUSO



“Esistono luoghi che respiri e senti tuoi.
Come quelle persone che, anche se non hai mai incontrato, conosci da sempre”.
Fabrizio Caramagna

Camminare, andare su e giù, con gli occhi bassi guardare i propri passi. Andare, venire e tornare. Alzare la testa e guadare ad altezza del proprio sguardo quello che ti sta intorno. Case chiuse, sbarrate le porte e chiusi i balconi dove prima si vedeva la vita. La mattina fa meno impressione. Quasi tutti, la mattina escono per andare a lavorare è normale che chiudano tutte le finestre. La sera, invece, è quella che fa più impressione. Avete mai provato a fare una passeggiata per Castelbuono la sera? Strade poco illuminate per lo più, deserte e case immobili avvolte nel silenzio più cupo. Nessuna luce, nessun profumo della cena appena preparata. Non c’è traccia di persone che aprono quelle porte. Sfilze di case che creano le vie, tutte rigorosamente chiuse, alcune sembrano tristemente abbandonate. Nessuna voce, nessun racconto tra i balconi. Non ci sono panni stesi, nessun fiore. Anche la piazza più bella del mondo, per alcuni “ombelico del mondo” è vuota.  Andate in via Mario Levate, scendendo sulla destra ci sono quindici case chiuse. Andate in via Mustafà e troverete lo stesso. A Strata ranni, Via Maurolico, Via Cappuccini. Andate a piedi, noi lo abbiamo fatto e la tristezza ci ha preso il cuore. Non parliamo di tarda sera, no, basta andare intorno alle 19 e non vedere nessuno. Ve lo ricordate cosa era prima il vespro? Era un appuntamento assiduo della giornata, dopo il lavoro andare a fare la passeggiata, incontrarsi, chiacchierare. Vedersi appunto. La nostra Agorà è vuota, struggente nel suo ordine al quale manca la vita e la vitalità di chi, come noi, da bambino la affollava con giochi fino all’ultimo respiro. E’ sofferenza, è straniamento vedere cambiare così rapidamente Castelbuono. Un malinconico lungo addio tra due generazioni che non si scambieranno mai il testimone. Nessuno ne parla apertamente, nessun incontro pubblico su questo, ci mancherebbe! Una società, ormai, solo di alcuni che si spartiscono tutto e il resto muore e a loro non importa. Nessuno ne parla. Solo sogni di gloria e propaganda dipingendo un paese che non c’è più. Stridono certi discorsi, stride la mediocrità data a certe notizie che di sensazionale non hanno nulla. Scialbo e inutile è il potere che non s’interroga, che prende e non da. Mediocre è non confrontarsi, non aprirsi e non ammettere che un problema sociale forte esiste e che non è solo dei ragazzi che vanno via per il lavoro. Certo è anche quello, ma c’è di più. Ci sono legami che finiscono, ci sono vite che non nasceranno più qui, che non andranno nelle nostre scuole, che non compreranno più nei pochi e resistenti negozi ancora aperti. Il paese è cambiato in peggio; è terribile sempre, quando si perdono le persone. La bufala del turismo che avrebbe portato ricchezza, che avrebbe dato lavoro a tutti. L’ecologia accostata solo a un cassonetto tolto senza interrogarsi sui veri cambiamenti degli stili di vita. Il nulla, questo è successo negli ultimi anni. Un potere autoreferenziale che non riesce a sostenere lo sguardo di chi la pensa diversamente e per questo attacca dalla mattina alla sera. Era bella Castelbuono, tanta gente, le foto di un tempo lo raccontano. I discorsi della storia lo ricordano. La vitalità, la genialità erano azioni quotidiane. L’ironia madre della vera Castelbuonesità.
Siamo pochi adesso, siamo anche più soli perché quando non c’è il ritorno ideale, la cosa che resta è la solitudine.




venerdì 19 luglio 2019

L'APE REGINA


“Come api attorno al miele. Perché le api sono così attratte dal miele, dato che lo producono? Potrebbe essere solo vanità.” 
Simon Murrey
A pensarci bene il mondo delle api è davvero affascinante. Volano di qua e di là, non temono il caldo, il vento…vanno veloci e certe verso i fiori. Leggere, quasi invisibili, stanno attente a tornare con tanto nettare offerto da quei fiori ignari. Lavorano tanto, alcune sono anche più attive, tornano all’alveare per soddisfare le esigenze dell’ape regina, che si sollazza della sua maestosità, ben nascosta e protetta. Lei, in effetti, ha un grande compito, quello di addestrare il suo esercito gioioso per produrre quanto più miele possibile. Le guarda, controlla ogni movimento delle piccole api ma resta lì, ferma, gloriandosi della sua stessa natura che l’ha voluta regina, “come api attorno al miele” appunto.
Vanno e vengono le altre, in modo meccanico fanno quello che la loro regina si aspetta. Non possono trasgredire, non è neanche nella loro natura, come soldatini ben addestrati, ogni giorno per loro è tempo di rendere omaggio all’ape regina. Mute, si aggirano affannosamente nel tentativo anche di essere scelte. Sì, perché tra le prerogative che ha l’ape regina, c’è quella di sceglierne una per farla diventare il suo pupillo. Si chiama fuco l’ape che sarà scelta e che diventerà la stella nascente del regno della regina. Al fuco, anche le altre api si sottomettono, in linea perfetta con il sentimento d’inferiorità che le lega all’ape regina.
L’ape regina non ha occhi che per il suo fuco, lo fa nutrire bene, riposare, lo allieta con le sue gesta affettuose. “Una vita meravigliosa” pensa il fuco che si lascia prendere sempre più, dalle avances della sua regina. Il fuco pensa così di essere ormai salvo, di avere ottenuto tutto quello che desiderava. Come negli uomini, quando arriva l’agognato benessere, qualcuno si rilassa e allora cosa succede? Quando il fuco ormai è certo che occuperà il posto della sua regina, anche perché lei glielo ha fatto credere, essa lo uccide senza pensarci, dicono anche sia una morte atroce. Essa, senza alcun sentimento, smette di amarlo, di coccolarlo e lo uccide violentemente. “Nessuno può pensare di occupare il mio posto, che sia di esempio per tutte quello che ho fatto al fuco” dice alle altre impaurite e tremanti di paura.
Se solo le api capissero che non di solo miele di vive, la storia sarebbe diversa.
Il mondo delle api è sempre più simile a certi uomini e ai loro gesti, è affascinante e ci insegna a osservare più attentamente certi Api Regine piene di vanità e standone attenti per prenderne le distanze.






martedì 18 giugno 2019

Fontanelle: Il teatro che ci manca


Cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che chi studia sia consapevole della dignità. L’uomo di cultura deve reagire a tutto ciò che è offesa alla sua dignità, alla sua coscienza. Altrimenti la cultura non serve a nulla.”
Oriana Fallaci
Di recente si è celebrata l’ennesima assemblea pubblica su un tema annoso: il progetto di rifacimento del Teatro Le Fontanelle. Tema spinoso, che ha macinato vari decenni e appassionato molti, ma che non è mai stato risolto. Annunci roboanti, da parte di varie amministrazioni su finanziamenti avuti e perduti, su progetti stupendi e sbagliati, ogni volta iperboli scambiate per verità, hanno fatto si che fosse l’opera culturale e morale più incompiuta della storia di Castelbuono. Grandi architetti, area castellana messa a soqquadro solo su carta, idee, proposte, tutte e sempre cadute nel dimenticatoio. Adesso la sfida, che proprio in quell’assemblea è stata quella di mostrare e non dimostrare, quale possa essere il progetto migliore, certamente, avendo fede alle famose norme che si rispolverano quando non ci sono idee.
E allora, sui social, si è aperto un mini dibattito, mini perché l’argomento mostra sempre meno fascino, come quando una donna, molto bella in gioventù con il passare degli anni, perde quella luce che la faceva brillare. Ne abbiamo sentite tante : chi vuole abbatterlo completamente, così che si possa fare un mega punto panoramico. Tipo spianata, che non sarà all’altezza di quella delle Moschee di Gerusalemme ma, visto che Castelbuono si confronta con il mondo, poco ci manca. Centro polifunzionale, che come tutti i termini generici, dice tutto e niente. Chi vuole farlo diventare un collegamento al castello, chi vuole 400 posti…ma quando mai, sono pochissimi! Noi abbiamo bisogno almeno di 1000 posti... e così via. Il mini dibattito si è spento nel giro di un paio di giorni. La politica, come sempre quando non ha idee, butta la palla e poi scappa via, non partecipando al gioco. Come si fa con il discorso “sull’elefante rosa”, tutti a parlarne, ma senza averlo mai visto.
Ora vorremmo provare a fare un esercizio; piuttosto che continuare a mostrare progetti tecnici, perché non ne scriviamo uno culturale, così che poi si possa fare di quello tecnico un involucro non vuoto ma pregno di idee culturali appunto?  Cambiare per una volta l’oggetto del discorso e cambiare strada. La prima domanda da fare è: oggi serve un teatro?  Speriamo proprio di si. Castelbuono vanta una grande tradizione teatrale, proprio in quel teatro si esibivano compagnie importanti, andavano di scena anche opere liriche. Poi vennero gli anni del Veglione, quello vero, in cui bastavano una chitarra e molta intelligente ironia per raccontare le “nostre” storie. Si ballava, si ascoltava, ci s'incontrava, ci si vestiva eleganti, proprio come quando si va a teatro. Adesso, in cui neanche è resistito al corrosivo imbarbarimento culturale il Veglione, in cui, le poche, (forse duo o tre) compagnie teatrali vanno di scena in estate, accaparrandosi legittimamente date “utili” per avere più pubblico, possono avere un teatro? Dall’altro lato, assistiamo con stima e stupore ai tanti musicisti che stanno crescendo grazie al lavoro incessante che fa la nostra scuola media, ma nessuno pone un tema fondamentale in quel mini dibattito: quel “coso” - teatro, servirà anche alla scuola? Ne sarà parte integrante? Ancora, le tante associazioni culturali avranno voce in capitolo, o finirà come per il Centro Sud, ex Chiesa del Crocifisso, buona a tutto, dalle “mostre” agli spettacoli…per nulla idoneo a fare teatro, altra promessa mancata? Perché invece non si parte dalla destinazione dell’area castellana? Subito dopo il suo insediamento l’amministrazione fece una serie di nomine gratuite per sviluppare un progetto sull’area castellana. A che punto siamo? E’ possibile intervenire facendo una discussione seria e senza escludere nessuno che non sia vicino a qualcuno?  Vogliamo che il Castello decolli veramente con un progetto culturale vero e non solo di uno, magari sviluppando un percorso culturale e sacro insieme? Vogliamo aprire un vero dibattito sulla funzione presente e futura della nostra istituzione culturale più importante inserendola dentro quello più ampio de “Le Fontanelle”, della piazza e del restante viale che la circonda? Vogliamo fin da subito chiudere al traffico quella meravigliosa piazza, cancellando anche le strisce dei parcheggi che la sfregiano? A proposito, poiché Castelbuono si confronta con il mondo, in quale altra piazza artistica esistono i parcheggi? Per una volta, una sola volta, proviamo a tornare persone serie, cerchiamo tra i nostri bisogni cosa ci serve davvero per crescere come Comunità. Non facciamoci  imbrogliare dall’argomento estetico…la spianata o la cupola, o la terrazza.  Di teatro dobbiamo parlare. Andiamo contro vento, non cerchiamo l’involucro, immergiamoci, perdiamoci dentro il contenuto. Parliamo di temi, torniamo a costruirlo in quella piazza, scegliamo la scena migliore, la voce più forte. Scriviamo una storia diversa, non voltiamo pagina, ma cambiamo libro, lasciamoci trasportare da storie nuove, non di qualcuno, ma per qualcuno. Troviamo il coraggio di parlare di quello che nessuno osa dire, con dignità culturale. E come nella migliore tradizione del teatro vero aspettiamo che si apra il sipario.

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lunedì 20 maggio 2019

LA SCUOLA CHE C'E', IMPRESSIONI SULL'I.C. FRANCESCO MINA' PALUMBO


“La conoscenza che viene acquisita con l'obbligo non fa presa nella mente. Quindi non usate l'obbligo, ma lasciate che la prima educazione sia una sorta di divertimento; questo vi metterà maggiormente in grado di trovare l'inclinazione naturale del bambino.” Platone
Tutte le storie iniziano con “C’era una volta…” questa, invece, cambia le regole del gioco, e inizia così “ C’è questa volta…”. Non è facile trovare ambienti lavorativi così dinamici e ricchi di diversità e idee. Ascoltare la dirigente dell’I. C. Francesco Minà Palumbo,  Antonella Cancila, è stato davvero interessante, sentire parole di apprezzamento per i docenti e gli studenti ancora di più. Siamo troppo spesso abituati a dare per scontati tanti discorsi, molti fatti, non ci chiediamo più come nascono le cose. Come s’innescano certi meccanismi. Abbiamo mai pensato a cosa fanno tutte quelle ore, studenti e docenti chiusi dentro una scuola? E poi, sono davvero “chiusi”?  Se c’è una parola che descrive questa scuola, è apertura; lo è verso il territorio, i suoi bisogni, le mille peculiarità. Apertura verso le richieste che vengono dagli studenti, verso il lavoro che instancabilmente compiono ogni giorno i docenti. 800 alunni e le loro famiglie, tra Castelbuono e Isnello, significano una fetta importante delle nostre Comunità, ricchezza e valore che devono andare di pari passo con la crescita culturale e civica. Lavoro delicato che non dobbiamo dare per scontato. Apertura è quella che la scuola ha continuato a dare, oggi ancora con più enfasi, al progetto Erasmus, che vede il coinvolgimento di sei nazioni compresa la nostra. Ci sono docenti che sono già andati in Turchia e Spagna per le riunioni di coordinamento, a maggio arriveranno ventiquattro studenti da Olanda, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Turchia che saranno ospitati da altrettante “nostre” famiglie. Uno scambio culturale ricchissimo che li vedrà viaggiare per tutta la Sicilia alla scoperta del nostro territorio e delle nostre bellezze. Il progetto, incentrato sull’ambiente, il 24 maggio avrà anche una celebrazione in Piazza Margherita e la sera un momento conviviale nel bellissimo Chiostro di San Francesco. Apertura verso la diversità, verso chi viene da lontano, è questo il progetto “Fuori dal labirinto” che la scuola in collaborazione alla Coop. L’Aquilone e il Vescovado di Cefalù ha voluto fortemente ponendo l’accento sul suo ruolo di agenzia di educazione. Non sono mancati i momenti di difficoltà nei casi di alcuni ragazzi con storie particolari, ma il senso di umanità e la collaborazione, come ricorda la dirigente, hanno fatto superare tutto. E poi ancora, progetti che hanno titoli evocativi, “La Legalità”, “Diversamente uguali”, “I Giusti” con la costruzione del giardino dei Giusti. Progetti sull’alimentazione, sugli affetti “Ti voglio bene e ti dico no”. Le gare, quelle di matematica, quelle sportive, i concorsi, come quello celebrato in questi giorni a Città di Castello, nel quale la nostra scuola ha fatto incetta di premi, su oltre sessanta scuole partecipanti. Un flusso continuo di idee e educazione civica e di bellezza.
Apertura è quella mediazione che la Dirigente ha voluto promuovere tra le diverse figure professionali per fare emergere il meglio, un clima che ha ancora accresciuto la voglia degli studenti di rimanere a scuola nel pomeriggio per proseguire le diverse attività.
Apertura è anche armonia, quando si parla di musica, e allora come non continuare con il corso musicale, uno dei migliori del settore. Ormai i bravissimi docenti, giovani ed entusiasti di strumento musicale, da qualche tempo ci hanno abituati a giovani talenti musicali.  Settantaquattro elementi oggi formano l’orchestra musicale dell’Istituto, e tra qualche girono saranno protagonisti del Concorso musicale per le scuole di Città di Castello in Umbria. Apertura e serenità nel tono e nella voglia di raccontare la scuola traspaiono dalle parole e dall’atteggiamento della Dirigente che intende con più forza e ostinazione, aprire la scuola al territorio, accanto alle istituzioni come in occasione del FAI, sia con quelle di Castelbuono sia con quelle di Isnello. Per il primo anno nel vicino borgo madonita è stato inaugurato il FAI e anche in questo caso la parola è: apertura.   Collaborazione con le Istituzioni comunali e culturali, con gli agenti del territorio, rispetto per i ruoli e il lavoro di tutti sono ingredienti essenziali per la scuola della Dirigente Cancila.
E anche se questa è scuola dell’obbligo, qui l’unico obbligo che abbiamo riscontrato è quello di avere voglia di conoscersi, di fare squadra. Una scuola come la voleva Platone, aperta e senza inutili orpelli, nessun senso di superiorità dei ruoli; nessuna autorità ma tanta autorevolezza. Divertirsi nel senso latino del termine, DIVERTERE, fare cose diverse, assaggiare tanti frutti, parlare tante lingue, ascoltare tanti strumenti. Si è proprio così, come l’orchestra d’altronde, in cui ogni singolo elemento è indispensabile per la riuscita dell’armonia, se poi il direttore d’orchestra ha come filosofia l’apertura, il gioco è fatto.





lunedì 22 aprile 2019

Pensare e dire


“ Gli uomini saggi sono sempre veritieri sia sulla loro condotta, sia nei loro discorsi. Non dicono tutto quello che pensano, ma pensano tutto quello che dicono”.
Lo scrittore tedesco del settecento, G.E. Lessing,  nel suo “Manuale di morale” ha inserito questo monito molto suggestivo che potremmo sintetizzare nel seguente modo:
“Il sapiente pensa tutto quello che dice, lo stupido dice tutto quello che pensa”.
Queste parole sembrano state scritte oggi. Basta, infatti, accendere la televisione, assistere a un comizio  e ascoltare certi dialoghi che ci vengono “somministrati” come pillole quotidiane, per scoprire come domini in maniera molto evidente il senso di questa frase. Una valanga di stupidità, di chiacchiere, di pensieri fatui eruttano da una interiorità sempre più prossima ad identificarsi con la superficie, con l’esteriorità. Manca del tutto la sincerità, l’essere quello che si è. Tutto è spalmato nei social dove sono esibiti “trofei” e dove tutto diventa un “traguardo” anche se effimero. La ricerca ossessiva dei mi piace ha spostato ogni tipo di comportamento dall’etica all’estetica. Non ci sono più contenuti e ragionamenti.
Tuttavia c’è una  esibita sincerità che si manifesta volutamente, come ingenuità  divenendo visibilmente dabbenaggine.  Questa finta “sincerità” è immaturità, imprudenza, stupidità vera e propria. In questa chiave vale la lezione dello scrittore Lessing: essere “veritieri nella condotta e nei discorsi” vale solo quando si hanno una formazione e una ricchezza interiore, ossia quando si è saggi. Altrimenti è solo un “espettorare”  banalità, insulsaggini, scemenze e volgarità.
Il pensare e il dire sono, quindi, correlati, e senza un autentico e sostanzioso pensiero il silenzio è d’oro. E se è vero che abbiamo bisogno di silenzio e non di false sincerità, abbiamo anche bisogno di parole che siano vere, dense di cultura e di memoria storica. Abbiamo la necessità, quasi vitale,  di uomini preparati che sappiamo usare la mente e la lingua all’unisono.  Che insegnino non che urlino. Non abbiamo bisogno di chi ride, ma di chi pensa, perché  spesso il riso abbonda nella bocca dello stolto.

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mercoledì 20 marzo 2019

C'era una volta l'etica


Cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che chi studia sia consapevole della dignità. L’uomo di cultura deve reagire a tutto ciò che è offesa alla sua dignità, alla sua coscienza. Altrimenti la cultura non serve a nulla.”
Oriana Fallaci


E già la cultura, questa sconosciuta. In questi giorni, nella nostra bella Castelbuono, stiamo assistendo a un abominio etico nei confronti di lavoratori che, nel passato, sono stati osannati perché più deboli, oggi al contrario, usati come dazio elettorale. Atto questo che ha certamente i Natali, forse in esigenze elettorali, a certe convenienze, a fini che forse ancora non sono del tutto chiari. Certamente quello che è evidente è la morte civica dell’Etica. Un delitto perpetrato anche da chi, mettendosi in cima a una piramide dalle assenti fondamenta, continua a dirci di non prendere  lezioni di Etica da nessuno. E ha ragione!  Non ne prende, e gli atti lo dimostrano. Ci raccontano l’assenza della conoscenza filosofica, politica e civile dell’Etica. Altro che Res Pubblica… Su questo punto siamo totalmente d’accordo. Quello che sembra essere morto insieme all’Etica, è quella classe dirigente, che nel tempo, ha avuto ruoli pubblici e nello specifico, culturali in questo paese. Si dirà, “ma ormai o paisi un c’è chiù nuddri”. Ed è vero, la generazione dei quarantenni ormai è volata via insieme con un bagaglio di conoscenze enorme, che sarà donato ad altre comunità. La nostra si sta inesorabilmente impoverendo, peccato che, proprio quelli che hanno avuto un ruolo, davanti a questi atti contro l’Etica stanno zitti e continuino a “servire” ruoli senza intervenire o animare il dibattito sano in paese. Peccato, che una classe dirigente che ha avuto onori, e certamente anche oneri, oggi stia zitta, sorniona e complice di una politica vulnerabile, personale e ci fermiamo qui.
Eppure a livello nazionale, in cui la guerra all’Etica, continua a distruggere le nostre Istituzioni e la nostra cultura educativa, qualcosa sembra muoversi. Le piazze piene di cittadini che portano avanti istante e valori che appartengono a tutti, ne sono un esempio confortante.
Qui, nulla. Qui si continua a tacere impunemente. Qualcuno diceva un tempo che Castelbuono è laboriosa, che i castelbuonesi si alzano la mattina, vanno a lavorare…ecc. Lavorare è un diritto sancito dalla nostra Costituzione, per qualcuno, invece, è divenuto un privilegio acquisito. E se la cultura non serve a contribuire a creare una coscienza civile, bene hanno fatto coloro che sono andati via. Quella generazione che è volata via, non si è fatta rubare la dignità da questa “classe dirigente”. Aveva ragione Oriana Fallaci, se la cultura non serve a reagire, contro le azioni intollerabili eticamente, non serve a niente. Attendiamo con ansia che qualcuno dentro la stanza dei bottoni  confuti, quanto abbiamo scritto. Ancora una volta attenderemo invano?


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lunedì 18 febbraio 2019

APPARTENERE


“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo.”
Cesare Pavese

C’è una strada che dal mare sale verso la collina. Piena di curve e immersa nel verde cammina dolcemente da secoli per giungere in un luogo dove il sole e il vento la fanno da padroni. E’ piacevole questo cammino, s’intravedono alberi di ulivo secolari, alcuni sostengono li abbiamo lasciati i Saraceni altri, i Greci. Quelli che cambiano colore più rapidamente passando da un verde delicato a uno smeraldo e via via sempre più intenso sono i frassini, padri della manna. Di questo luogo ci sono tracce anche nella Bibbia e forse anche per questo gli abitanti sono conosciuti come essere molto orgogliosi della loro terra. Qui il sole sembra non tramontare mai, la gente qui dorme poco. E’ un paese sempre sveglio, incontri gente e a tutte le ore. I “grandi” la fanno da padrone dentro la Margherita, i più giovani poco più in là nei locali a loro dedicati. Ognuno ha la sua zona, in linea con l’età, i gusti e il dolce far niente. La sera, in estate, si esce molto tardi, si consumano le ore stando seduti ai tavolini del bar o facendo mille passeggiate lungo tutto il corso. Sempre le stesse, l’itinerario non cambia. Stessi passi, stesse facce, stesse scene. Ci si guarda, ci si sorride, si ammicca anche. I due bar hanno clientela diversa. Da un lato i nuovi rampanti che amano la novità. Dall’altro i nostalgici, quelli che un tempo votavano comunista e che sperano ancora oggi nel ripristino della falce e del martello. Più giovani da un lato e più anziani dall'altro. Più abbronzati e freschi di doccia dopo il mare in uno, nell’altro cotti dal sole della campagna e dalle fatiche della giornata. C’è da camminare tanto in questo paese, il suo centro storico sembra non finire mai. A ogni strada grande ci sono ai lati tante piccole traverse che salgono e scendono come appunto si fa solo in collina. Ci si parla dai balconi, in estate per lo più quando il sole qui picchia forte. Ogni balcone ha la sua tenda, chi di un solo colore, chi in tinta con il prospetto della casa, chi a righe rigorosamente bianche e verdi. Le tende hanno molti usi. Riparano dal sole, dai curiosi, ma servono anche per lasciare le ante dei balconi aperte e ascoltare cosa accade per strada. Un paese ci vuole, bisogna sapere tornare. Torniamo ad avere cura della bellezza che ci circonda,  apriamo le tende,  lasciamo entrare la luce, contro la deriva festaiola vuota e ci sta travolgendo. Torniamo a camminare, insieme, nella nostra storia, per sentire intimamente la nostra appartenenza.

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giovedì 7 febbraio 2019

RESISTERE



“Così è diventato il nostro mondo: la pubblicità ha preso il posto della letteratura, gli slogan ci colpiscono ormai più della poesia e dei suoi versi. L’unico modo di resistere è ostinarsi a pensare con la propria testa e soprattutto a sentire col proprio cuore.” 
Tiziano Terzani
Sabato due febbraio davanti al municipio di Castelbuono, eravamo pochi, forse neanche trenta. Pochi a condividere un momento importante, aderire alla mobilitazione spontanea “L’Italia che resiste”. Eravamo poco sì. Qualcuno ha anche detto, senza neanche crederci tanto, “pochi ma buoni”. Non era una sagra, non c’era nulla da mangiare, c’era una linea che interessa tutti, anche quei mille che non c’erano. Qualcuno ha anche fatto molta ironia contro di noi. Menti che sanno solo di pochezza. Esserci e resistere appunto, contro la deriva autoritaria e lontana dall’umanità che sta prendendo la nostra sbandata Italia. Eravamo pochi ad ascoltare le parole di Don Milani, dell’Eneide di Virgilio. Pochi ad ascoltare la testimonianza della pasionaria dell’A.N.P.I. Eravamo pochi a pensare con la nostra testa, a uscire da casa a un’ora improponibile, per esserci e testimoniare. Abbiamo ascoltato le parole di chi quel viaggio tormentato l’ha fatto ed è tutto nei suoi occhi. Abbiamo lottano contro ciechi pensieri, contro menti avvolte nell’odio portando parole di coraggio e lealtà. Sì, perché ognuno ha i suoi diritti, le proprie fatiche, le tante stanchezze, ma questo non vuol dire chiudere gli occhi rispetto a chi ha bisogno. Eravamo pochi a difendere la dignità, la natura che ci vuole diversi solo esteticamente, ma uguali eticamente. Tornando a casa ci siamo chiesti, perché non c’erano quelli che organizzano e onorano la Giornata della memoria, dove erano finiti quelli che ricordano la Giornata contro la violenza sulle donne, tutti quelli che su Facebook aderiscono alla Giornata mondiale della gentilezza. Noi eravamo lì e avevamo bisogno di voi, del vostro conforto, delle vostre parole, anche dei vostri silenzi. C’è bisogno di testimoniare da che parte stare, accanto a chi vogliamo camminare. Oggi non abbiamo bisogno di tempo, dobbiamo imparare a parlare di frontiere e non più di confini. Abbiamo bisogno di rispetto e che esso diventi educazione permanente. Eravamo pochi, ma eravamo lì non con la resilienza, concetto che sottintende una certa sottomissione, no, noi eravamo lì come nuova resistenza civile. Qualcuno ha detto che siamo e possiamo essere lievito, ma per avere fortuna, quei mille che non c’erano, devono uscire dalle loro case, venire e ascoltare parole di dignità. Ognuno ha la sua parte in questa tremenda odissea contemporanea, c’è bisogno di persone amiche. Abbiamo bisogno di imparare l’amore e lo stare insieme. E come diceva Terzani, “ L’unico modo di resistere è ostinarsi a pensare con la propria testa e soprattutto a sentire col proprio cuore.” 


 

sabato 19 gennaio 2019

IL SILENZIO


“Eppure io credo che se ci fosse un po' più di silenzio, se tutti facessimo un po' di silenzio, forse qualcosa potremmo capire…”.
F. Fellini
Pacchi, pacchetti, fili colorati, vetrine addobbate, strade deserte ancora più buie del solito. Case calde, famiglie riunite, amici lontani che ora sono vicini. Tavole imbandite, concerti, auguri e ancora auguri. Il Natale è passato, con conferme e appuntamenti mancati. L’Anno nuovo è arrivato e sempre ci illude che arriverà con esso anche il nuovo. C’è pero una cosa che riecheggia in un frastuono assordante, il silenzio. Tante parole per augurare ogni bene tra Natale e Santo Stefano, parole euforiche durante la vigilia del 31 dicembre e poi? Poi torna impetuoso il silenzio di chi non ha nulla da dire, e nessuna soluzione. Non quello che dovrebbe farci riflettere, portarci a preferire le condizioni di povertà in cui Natale è nato, in cui vivono tanti. Il silenzio rispetto a tutti quelli che vanno via dalle nostre terre, il silenzio rispetto alla politica che è tutta orientata solo alle sue estenuanti e tutte uguali sagre. Orientata, dicevamo, solo ai turisti e non ai bisogni dei cittadini chiamati ad arringare le folle solo per le elezioni. Il silenzio rispetto alle tante cose che non vanno. Quello delle nostre istituzioni culturali divenute ormai assenti nel dibattito cittadino.
Il silenzio delle istituzioni verso le associazioni, culturali, sportive, di volontariato che reggono e animano tutta la parte dell’anno con le loro attività e continuano a operare in un ambiente difficilissimo.
Il silenzio della mancanza di rispetto per chi rimane senza acqua, per chi lotta per un diritto, il lavoro, anche quello bandito solo durante la fase elettorale.
Il silenzio di chi siede in consiglio comunale, da una parte e dall’altra verso le necessità di tutto, giovani e anziani.
Qualcuno parla di resilienza, ecco noi non amiamo né la parola né il concetto, sa di resa. Da questo punto di vista siamo per la tradizione, e ci rifacciamo alla resistenza, civile e culturale verso la deriva che la nostra Italia sta attraversando. Ci vorranno azioni forti, fatte da persone valide, serie, non da mistificatori e improvvisatori.
Abbiamo bisogno di cultura e ne abbiamo necessità per capire e comprendere cosa dobbiamo sentire prima e dire dopo.
Abbiamo bisogno di silenzio, per ascoltare che molte parole sono vane e che abbiamo bisogno solo di verità e bellezza.