mercoledì 24 febbraio 2016

Cosa è la cura?

“Ti proteggerò
Dalle paure delle ipocondrie,
Dai turbamenti
Che da oggi incontrerai per la tua via,
Dalle ingiustizie
E dagli inganni del tuo tempo,
Dai fallimenti
Che per tua natura normalmente attirerai”
F. Battiato


Innanzi tutto cosa è la cura? Essa non è un principio, non si avvale perciò di regole generali o di principi primi; essa è, invece, una predisposizione orientata verso qualcuno o verso qualcosa e proprio il suo essere orientata, la fa essere una pratica, quella del vivere.
La pratica è sempre un’azione e la cura è l’azione nata con i nostri pensieri, con le nostre emozioni verso qualcosa cui siamo naturalmente portati.
Quando ci prendiamo cura di un nostro caro o quando svolgiamo con cura il nostro lavoro altro, non facciamo che svolgere un’azione finalizzata al bene non tanto nostro, quanto quello del soggetto che beneficia della nostra attenzione.
Prendersi cura dell’altro ci rende delle creature speciali, capaci di mettere l’altro al centro dei nostri pensieri e infine di metterlo nelle condizioni di fare del beneficio che gli doniamo, una decisione che alla fine lo porterà a prendersi esso stesso cura di sé.
Tutti gli esseri umani sperimentano nella vita momenti in cui hanno bisogno che qualcuno si prenda cura di loro, si avverte questo maggiormente nei momenti più difficili o per meglio dire di bisogno, perché la richiesta di cura è sempre un bisogno, di qualcosa, di qualcuno che ci faccia stare bene.
Così la cura diventa una necessità universale della natura umana: il bambino ha bisogno di cura per crescere, l’allievo ha bisogno di cura per imparare, la persona amata ha bisogno della cura del proprio caro per sentirsi vivo, l’amico ha bisogno della nostra cura per vivere senza sentirsi solo.
Come la pianta, che per crescere e vivere ha bisogno dell’acqua, così, l’uomo ha bisogno della cura, intesa come amore, come attenzione per vivere.
Non è solo l’universalità che rende la cura importante per la vita di tutti noi, è anche la sua necessità: essa è necessaria, nessuno può vivere senza essere “aiutato” dalla pratica di cura e il suo essere necessario fa parte sia della vita fisica sia di quella emotiva.
Il gioco che ne nasce, è fatto allora di uno scambio continuo di energia positiva di empatia che regola e arricchisce la vita interiore di ogni essere umano, quando ciò avviene, si assiste al famoso “scambio di amorosi sensi” di poetici natali e chi ha la fortuna di viverlo diviene un essere speciale.
Non c’è cosa più bella al mondo che avere qualcuno di cui prendersi cura, con amore e dedizione; una mia amica mi dice sempre che nella vita tutto deve essere regolato dall’amore e quindi dalla sua intensità, mi dice anche che pure i piatti vengono meglio se lavati con amore.  .
Se questo scambio manca, allora la cura non può esserci e quindi il soggetto che ne ha bisogno non può beneficiare di tanto amore, lo scambio quindi è alla base della pratica di cura;
Attenzione non è uno scambio che deve necessariamente essere alla pari, anzi la cura è più efficace e intesa se è “ a fondo perduto”.
Oggi trovare o vedere questa pratica è sempre più difficile. Il mondo che cambia continuamente e che ci fa essere sempre più egotisti, perché sempre più antagonisti gli uni con gli altri, non da modo di sperimentare quanto beneficio e quanto sentimento si celi dietro questa semplice ma preziosa pratica.
Groenhout scriveva: “ La cura è finalizzata, nella sua prospettiva ideale, a promuovere il pieno benessere intellettuale, emozionale, spirituale e fisico di chi-riceve-cura; essa ha luogo in un contesto di strutture sociali che incoraggiano lo sviluppo delle capacità di dare e di ricevere cura”.
Alla base di questa definizione c’è la visione di un mondo regolato da una fitta rete di relazioni sociali, che se andassero vissute veramente ci darebbero un mondo nuovo, pieno di speranza e di correttezza etica, tutte cose che al momento sono difficili da trovare.
Il segreto è sempre lo stesso, come per l’amore, nella cura bisogna fermarsi e aspettare che qualcuno si accorga di noi e di quello di cui abbiamo bisogno.



sabato 20 febbraio 2016

A due anni dal Centenario della donazione del Teschio di Sant’Anna.

Sono passati due anni dal Centenario della donazione del Teschio di Sant’Anna alla popolazione. Un evento che ha visto la partecipazione di tutti. Un evento, mi ripeto, che non si vedeva da decenni a Castelbuono e che ha segnato molti di noi. Allora, con un ruolo diverso, scrissi un comunicato ufficiale che oggi voglio ricordare per noi tutti. Oggi come allora, con senso di appartenenza e orgoglio di una Comunità che quando vuole, non lascia inosservata la sua Storia, sento il dovere morale, nel mio piccolo, di non dimenticare. Da quell’evento molte cose sono nate, una delle più importanti, mi piace ricordarla, è stato l’incarico che affidammo ad una importante storica dell’arte per approfondire e quindi scrivere una pubblicazione sul reliquario di Sant’Anna che molti segreti conserva. Peccato che l’attuale amministrazione del Museo Civico non l’abbia portata a termine. Un grave peccato per tutti noi e per quello che Sant’Anna significa per religiosi e non di Castelbuono. Ricordare oggi il Centenario della donazione del Teschio, significa anche pensare a quei Valori veri che tali sono e non merce e che abbiamo il dovere morale di preservare e custodire, mai di mercificare. Noi siamo il Centenario.


L’amore è paziente, è benigno l’ amore;
l’amore non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
ma si compiace della verità; tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.”
San Paolo –Prima lettera ai Corinzi 13,1

Se dovessi descrivere il Centenario della Donazione del teschio, lo farei con queste parole: un fiume in piena, un’emozione enorme, una partecipazione infinita.
Se dovessi rivedere questo Centenario, rivedrei le donne che piangono, i bambini che sorridono, gli anziani commossi, gli uomini solenni.
Se dovessi comprendere quello che è accaduto dovrei, certamente, dire che, è stato un evento eccezionale, un evento nell’evento.
La partecipazione del popolo, di tutta la comunità è stata un evento eccezionale. Non era luglio, non faceva bel tempo, non c’erano bancarelle, cantanti, cabaret; non c’era la sera la piazza piena, non c’era la routine di una festa che si tramanda, da secoli, sempre lì sempre uguale.
Al contrario quello che c’è stato è un atto di fede, un amore profondo, nutrito da generazioni verso Sant’Anna. E’ un amore fatto di rispetto, di temporalità infinita, di continuità, è un amore fatto di appartenenza.
Sant’Anna voleva il suo popolo e il suo popolo c’era; c’era durante la meravigliosa fiaccolata, c’era nella chiesa madre gremita, come mai si era vista, c’era nei tanti appuntamenti creati per l’evento. C’era il venerdì, il giorno dedicato agli ammalati, in tantissimi sono arrivati per lei, e lei c’era, era lì a vegliare sul gesto sacro dell’unzione agli ammalati.
Il popolo ha dato una lezione importante a tutti, ha reso onore a chi lo merita, ha dato il senso della Comunità, quell’amore incondizionato che non mente, che non chiede, non urla ma, che in silenzio rende omaggio, e amore senza limiti.
 Il Centenario è stato pensato un martedì mattina dell’ agosto scorso, al Castello ed ha avuto la capacità di trascinare un popolo, il popolo, vero unico protagonista
Esso è stato l’evento che Castelbuono aspettava, ha fatto sì che, gli organizzatori potessero lavorare per tutti che, le istituzioni di Castelbuono si unissero nell’intento comune di creare un evento veramente storico.
I tanti volontari, i ragazzi delle scuole, i Dirigenti scolastici, i Confrati di tutte le congregazioni di Castelbuono, il magnifico Comitato di Sant’Anna, la Banda musicale “G.Verdi”, le preziose ragazze della Matrice Nuova e tanti altri.
Ripenso oggi a tutte le riunioni, a tutte le serate passate insieme, a tutti gli incontri, i discorsi, i lavori, le magnifiche intenzioni. E’ stata una macchina perfetta, una squadra meravigliosa, ogni cosa al suo posto, ogni categoria ha avuto il suo momento, ogni singola persona è stata protagonista.
Il Centenario è stato un atto d’amore, che, come dice San Paolo” non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità”.
Tutti dobbiamo essere orgogliosi della nostra splendida comunità che trova in Sant’Anna e nel
Castello il suo centro vitale, la sua storia, la sua appartenenza.
 Un grazie va dunque dato a tutti, a coloro i quali hanno lavorato, al Sindaco Antonio Tumminello che ha creduto fin da subito nell’importanza e nella valenza sociale, di fede e storica del Centenario, a Don Santino Di Gangi che non si è risparmiato che, ci ha fatto sentire tutti a casa, tutti indispensabili.
E’ con orgoglio che dobbiamo pensare al Centenario e da esso ripartire per tracciare una nuova storia nella quale non ci sono contrapposizioni inutili, nella quale lo scontro è ammesso se costruttivo, nella quale l’amore che Sant’Anna ci ha donato, trovi conferma ogni giorno, nella speranza, nella fatica, nell’onestà, per giungere a un umanesimo mediterraneo, come ci ha insegnato Monsignor Mogavero. Castelbuono ora è pronta.

Lì, 5 Marzo 2013

giovedì 18 febbraio 2016

A carnevale ogni scherzo vale

“E’ un mondo difficile e vita intensa/felicità a momenti e futuro incerto... ”
Tonino Carotone

Finalmente ci siamo, dopo le fatiche del bilancio è arrivato il momento del divertimento. Nelle stanze del Comune non si pensa ad altro, sfilate, carri, veglione e tanto altro sono in preparazione per la felicità dell’intera Comunità. Come si sa ogni fuoco dura poco ed ecco allora sorgere i  primi problemi: “ di dunni i pigliami i sordi?” tuonò il Nostro in un afflato di collera mista a tristezza. “io sono stanco, dopo le fatiche mentali che mi è costato il progetto “Castelbuono si racconta”, da qui alla fine della sindacatura un m’ati a dumannari nenti”. Un evento, quello del Carnevale molto caro all’amministrazione che può divenire un fallimento. Allora subito si organizzano le truppe kammellate. “Carù un vi preoccupati a soluzioni c’è”, disse il più esperto in temi carnascialeschi. Tutti lo guardarono come si fa con il cielo stellato della notte di San Lorenzo, con quella meraviglia che solo i bambini hanno. “Andiamo per ordine” disse. E così tra una discussione e l’altra si definisce il programma completo. Il Nostro vestito con l’ormai noto saio della politica guiderà una sfilata allegorica nella quale saranno presenti tutti i membri dell’amministrazione e dei cda delle istituzioni museali. Per mancanza di fondi sfileranno così come usano vestire. Non c’è bisogno di altro travestimento. Serate danzanti si terranno a Piazza Castello e “Senza seggi ca pua un ni ricurdami comi sanni a paari”, tutti all’impiedi dunque per un evento eccezionale. Alla musica ci penserà l’assessore-consigliere-cantore, lui se e intende. Gran cerimoniere sarà l’unica donna presente nella tolda di comando che, vestita da odalisca, distribuirà premi che di seguito elenchiamo: Premio al più fedele; al più resistente; al più silenzioso; a chi ha avuto di più; a chi si è dimesso prima, dopo, durante e in futuro. Gli accoliti faranno da codazzo alla sfilata. I maligni dicono “così vediamo quanti siamo. E’ ora della conta per le future elezioni”. Mai posto fu più indicato per loro. Durante la sfilata si farà anche una questua per i futuri eventi culturali. Un comunicato interplanetario comunicherà data e ora dell’evento. La testa di turco per l’intera popolazione sarà offerta, “sempri siddri arrivani i sordi”, a Palazzo Failla. Per lo meno capiamo a cosa serve questo bellissimo posto o location come amano dire in amministrazione. La preparazione sarà per opera del Centro Polis in linea con i fini istituzionali.  Mentre si stendeva il programma, presi ormai dalla sicurezza che anche questa volta all’ultimo minuto e senza programmare qualcosa di buono verrà fuori, una voce, con tono alto e disperato, disse : “Carù u Vigliuni, un ni scurdami u Vigliuni!”. Il sogno del Nostro di svolgere il veglione 2016 al Teatro “Le Fontanelle” così come aveva più volte dichiarato non si potrà più fare e allora cosa fare? Sconforto, ira, disperazione, percuotono gli animi dei nostri amministratori. Ni iucami l'elezioni! Fin quando passando per caso un cittadino si ferma, li guarda e dice: “Un c’è bisugni di circari. Potete tranquillamente convocare un Consiglio comunale. Chiù Vigliuni i chissi!”. Giusto esclamò il Nostro. E i giochi di artificio? Chi li farà i giochi di artificio? L’opposizione, è brava in questo, spara, spara e poi… E poi è’ un mondo difficile e vita intensa/felicità a momenti e futuro incerto...a Carnevale si sa, ogni scherzo vale.

lunedì 15 febbraio 2016

Garibaldi, il Museo del Risorgimento e la telefonata

Cantiamo tutti insieme,
“Garibaldi fu ferito
fu ferito ad una gamba 
Garibaldi che comanda
Che comanda il battaglion

Mamma non piangere che è ora di partire
vado alla guerra per vincere o morire
se vincerò, che bandiera prenderò?
se perderò il capo di battaglia resterò

hanno vinto i bersaglieri con la piuma sul cappello
c'è davanti il colonnello
e lo vogliamo lo vogliamo fucilar! 
bim bum bam”


Dopo la brutta storia delle bollette dell’acqua giorni amari si susseguono per l’Amministrazione. Neanche le scuse con la promessa della rateizzazione sono bastate per calmare uomini e opposizione. Tutta la Giunta sembra non esistere più, non si vede più nessun componente andare in piazza allegramente. Cercano affannosamente uno spiraglio che faccia dimenticare il grave danno, spostando il bersaglio. Non tornano più neanche a casa, restano sempre dentro la casa comunale per evitare qualche scontro fin troppo banale. Così in una tiepida mattina invernale, riuniti come al solito, cercano come sempre senza alcuna via d’uscita un’idea geniale che possa salvarli. Occhiaie e sbadigli si susseguono senza trovare alibi e appigli.
A un certo punto, la tensione è interrotta dallo squillo del telefono: “ Pronto chi parla?”- “Sono l’Eroe dei due mondi”- “Chi?? Chi sei?”- “Sono Garibaldi”- tuona una voce dall’altro capo del telefono. Il Nostro con la perspicacia  che lo contraddistingue pensa subito a uno scherzo: “ Carù, finitila di babbiari, u Vigliuni finivi”. - L’altro con voce altisonante dice: “Come ti permetti? Mettiti sull’attenti quando parli con me! Che diamine!!!!”. Il Nostro un po’ impaurito e un po’ divertito, scatta sugli attenti e ordina alla Giunta di fare lo stesso: “E’ Garibaldi” urla! I componenti  della “ciurma” restano perplessi è presi dallo sconforto commentano sottovoce. “Arrivammi, ‘u sinnacu  ha perso quel po’ di ragione che gli restava. Menu mali ca stamu fininni”, commenta qualcuno. C’è chi – volendo evidenziare l’ormai uscita di testa del Nostro -  fa roteare il dito in aria. C’è, invece,  chi continua a controllare i mi piace su Facebook, chi resta in silenzio, chi si toglie la perenne sciarpa dopo l’arrivo della botta salata.
“Prego Comandante, sono qui per servirla, - dice il Nostro -  lo sa che in un’altra vita, anch’io sono stato garibaldino rinascimentale?”. Garibaldi, incurante della rivelazione/smielatura, lo incalza con domande a raffica: “Ho saputo che  mesi orsono, hai diramato la notizia dell’imminente nascita del Museo del Risorgimento. Il Regno Sabaudo si sta chiedendo che fine abbia fatto”. – “Ecco vede Signor Garibaldi, noi ancora, ma non è colpa nostra, non siamo riusciti a farlo” – “Di questo me ne ero accorto, vorrei sapere perché”- Tuona il grande comandante. – “Vedete, voi Sabaudi siete pronti  e precisi, non dite una cosa se non l’avete già fatta, qui noi facciamo il contrario. E’ una prerogativa della nostra Amministrazione. Andiamo avanti così da anni e siamo riusciti a resistere e galleggiare”. A queste parole trema tutta la Giunta e dall’altro capo del telefono un ordine agghiacciante e perentorio non si fa attendere: “ Saremo lì a maggio con un migliaio di amici, così ci è stato ordinato, vogliamo trovare tutto pronto, non voglio sentire ragioni. Mettiti a lavorare seriamente e smettila di confondere  il Risorgimento con il Rinascimento!  Non lo sai che tra le due epoche ci sono 300 anni di storia”?.
Preso dal rigore sabaudo il Nostro sospirò: “Ostregheta! e ora cchi faciami?”:
Chiuso il telefono, il panico pervade la tranquillità della Giunta. “Chissi è picchì parri assai, una prima sa sapiri sarvari u cunigli”, -  esclama il più anziano della ciurma. -  “Io potrei cantare una canzone per l’inaugurazione”- “Bella idea, sarebbe opportuno il Nabucco” -  suggerisce euforico il Nostro- “Quali Nabucco e Nabucco, io pensavo ad  Una rotonda sul mare, anzi corro a fare le prove”. L’ Assessora, alzandosi dice: “Corro a comprare il vestito per l’inaugurazione e prenotare trucco e parrucco”. – “Mio Vice, tu hai impegni? ma dov’è finito era qui un minuto fa…”
Nel panico totale e senza alcuna idea di come e cosa  fare, quel che resta della “Ciurma” comunale si mangia le mani pensando che stavolta è davvero  il ….“finale della Giunta”.
Qualcuno  fa notare che mancano ancora gli atti amministrativi per la nascita del Museo Risorgimentale: delibera di Giunta, parere dell’ufficio tecnico sull’idoneità dei locali, messa in sicurezza, atto notarile, passaggio in Consiglio comunale ecc. … Il Nostro che lì per lì non comprese la questione,: "Chi cci voli?, basta appenniri  cocchi quatri e mettiri quattri cimeli e… u museo è allistutu”. – “ E per le procedure  amministrative?” - grida qualcuno per le scale - Sicuro e baldanzoso, ma molto  lento nel proferire,  il Nostro disse un’ultima fondamentale cosa: “ Si fussiri i primi chi mancani, ‘u capissi. Ma non  potendo passare alla storia per  alti o altri meriti, vuol dire che i posteri ci ricorderanno come “emeriti”….. inadempienti. - L’importanti, caru’, è lassari ‘u signali ( o l’impronta).




sabato 6 febbraio 2016

Un bicchiere d'acqua

«Ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato».
Archimede
Da ore e ore la Giunta comunale è in riunione. Lavorano tutti alacremente per la gente. Vogliono trovare una soluzione al buco creatosi nelle casse comunali, senza alcuna intenzione. Non dormono da giorni, chiusi al piano di sopra della casa comunale, senza sosta e nessuno di loro trova risposta.
Nervi a fiori di pelle, passano in rassegna i conti senza trovare soluzione. “La Tasi l’abbiamo aumentata, la Tari e l’Imu pure. Dobbiamo avere la coscienza  a posto, tutto quel che si doveva fare, è stato fatto”. Qui, infatti, le tasse sono talmente alte da far vedere le stelle. Ad un certo punto la situazione si fa anche tragica, il Nostro stanco dalle inutili fatiche e dall’introvabile soluzione, cede ed ha un momento di mancamento. “E’ la fine”- esclama- “come faremo a fare sagre e divertimenti con questi lustri così spenti?”. Tutti si agitano, tranne una. Una sola, continua a sfogliare tranquillamente un catalogo di moda. “Dategli aiuto, subito un po’ di zucchero” dice qualcuno. “No meglio il sale” dice un altro. Ma l’anziano del gruppo che di tensione se ne intende, esclama con voce ferma e suadente : “Dategli un bicchiere d’acqua”.
“EUREKA!” esclama il Nostro, e così come Archimede, trova la soluzione per continuare senza infamia e senza gloria a galleggiare. “Mandiamo le bollette dell’acqua  arretrata e pure di quella futura, dal 1976 al 2056 in un solo anno e il gioco è fatto”.
“Sei pazzo”, grida allarmato qualcuno, “I chistiani n’acchianani di supra”. Un altro terrorizzato dall’infausta proposta dice: “ Aspè ragioniamo, io faccio l’orto tutto l’anno, quanti m’ha veniri a custari un citruolu  e ‘na  cucuzza?”.
Ma niente, il Nostro ormai sollevato, imperterrito come sempre, non ascolta più nessuno e con il suo solito sorriso inizia anche lui a sfogliare un catalogo di dolciumi e biscotti ed esordisce: “Sugni sicuru ca pua  ‘i chistiani su scordani”!

La Giunta è divisa ma come in tutte  le battaglie alla fine ci sono i vincitori e i vinti. Salvo è, però,  il Veglione, salvi i  bon bon e cotillon con il sottofondo di uno “stimolante” carillon per…. “galleggiare ancora in un mare di acqua d’oro e di sale amaro”.

martedì 2 febbraio 2016

Le Braci di Sandor Marai

Alle domande più importanti che la vita ci impone si finisce, quasi sempre, a rispondere è con la vita stessa. La nostra intera esistenza è segnata da fatti, persone, avvenimenti innumerevoli, però ci sono alcune circostanze che la segnano profondamente.  Non sono sufficienti le parole che spendiamo nel momento stesso in cui ci accade qualcosa, ma le risposte vengono con il tempo. Ci vuole pazienza e perseveranza, memoria certamente. Non dimenticare. Questo è il filo conduttore che tesse tutto il libro di Sandor Marai. Tradimento, amore, bellezza, giovinezza e infine vecchiaia e verità sono i condimenti per una storia profonda, dai legami forti e indissolubili che solo il tempo e l’insistenza del cuore hanno saputo conservare. Attende il marito di 2vendicare” il suo amore perduto, attende di farlo nel momento in cui non c’è più nulla da fare. L’amore della sua vita è morto, però egli ha adesso la possibilità di dire ciò che sapeva all’amico che lo ha tradito. Non è un semplice tradimento matrimoniale, c’è di mezzo l’amicizia e tutto quello che la vita ha concesso di vivere ai protagonisti. Seduti uno di fronte all’atro davanti ad un camino, bevendo qualcosa di buono, comincia quello che è possibile descrivere come un flusso di coscienza. Il fuoco arde e alla fine si spegne. Non è fuoco quello che non fa dormire la notte il marito, ma sono braci. La lucidità del marito e insieme la sua fermezza rendono il confronto un dialogo, mai uno scontro. Forse in cuor suo sa, che l’amico ha reso felice la moglie. Non è un uomo cornuto che tace pur sapendo, è un uomo che si è trovato a vivere una situazione a tratti assurda, complicata, amara. Lo fa però con quella posatezza che non lo lascia mai. Così, come le braci che mai si spengono, il suo pensiero è uno solo, rivendicare il suo ruolo e la consapevolezza che sempre lo ha legato agli altri due protagonisti. L’amicizia, come ricorda Cicerone è superiore alla parentela che in ogni momento può essere messa in discussione. L’amicizia è forse più forte dell’amore.  La figura della moglie emerge solo nel racconto del marito, l’altro uomo per lo più tace, ascolta. Un libro bellissimo che vale la pena leggere perché insegna, suo malgrado, che i sentimenti vanno al di là delle convenzioni, che hanno bisogno di tempo, di silenzio anche per crescere ed essere vissuti. E’ la vita stessa che da le risposte agli interrogativi che essa stessa ha generato. Così dovrebbe essere per tutti.
Testo
“Il castello era un mondo a sé stante, come quei grandi e sfarzosi mausolei di pietra in cui languono le ossa di intere generazioni e si dissolvono le vesti funebri di seta grigia o panno nero di donne e uomini vissuti in altri tempi. Esso racchiudeva in sé il silenzio, come un recluso che vegeti esanime sulla paglia marcescente di un sotterraneo, con la barba lunga, vestito di stracci e coperto di muffe. Racchiudeva anche la memoria, la memoria dei defunti, che si annidava nei recessi più occulti, così come i funghi, le mucillagini, i pipistrelli, i ratti, gli insetti si annidano nelle cantine umide dei vecchi edifici. Le maniglie delle porte conservavano il tremito di una mano, l’emozione dell’attimo in cui essa aveva esitato a completare il suo gesto. Ogni dimora in cui le passioni abbiano investito con violenza gli uomini si riempie di questa sostanza caliginosa.”…
“Vienna, l’Impero, ungheresi, tedeschi, moravi, cechi, serbi, croati e italiani, formavano un’unica grande famiglia, e all’interno di questa ciascuno intuiva in segreto che l’unico in grado di mantenere l’ordine, in quella marea di desideri, inclinazioni e passioni tumultuose, era l’imperatore, che era contemporaneamente sergente maggiore in servizio perpetuo e maestà, funzionario statale con i coprigomiti in lustrino e grand seigneur, bifolco e sovrano”…
 “L’amico, così come l’innamorato, non si aspetta di veder ricompensati i suoi sentimenti. Non esige contropartite per i suoi servizi, non considera la persona eletta come una creatura fantastica, conosce i suoi difetti e l’accetta così com’è, con tutto ciò che ne consegue.” “L’uomo e il suo destino si realizzano reciprocamente modellandosi l’uno sull’altro. Non è vero che il destino si introduce alla cieca nella nostra vita: esso entra dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato, facendoci da parte per invitarlo a entrare. Non c’è infatti essere umano abbastanza forte e intelligente da saper allontanare, con le parole o con i fatti, il destino infausto che deriva, secondo una ferrea legge, dalla sua indole e dal suo carattere”