venerdì 28 novembre 2014

Segnare la differenza.

Se si dovesse rispondere alla domanda cosa ha di particolare Castelbuono? Che cosa significa veramente il detto “ Paisi comu ‘u nuostru mancu ‘a Merica”?  La risposta sarebbe: la castelbuonesità.
Castelbuono nel tempo è riuscita a distinguersi dagli altri paesi vicini per la sua forte identità. Il campanilismo dei castelbuonesi ha fatto scuola, non è solo un atteggiamento tronfio ma, ne è il DNA.
Tante sono le storie che raccontano quest’amore fatto di viscerale attaccamento alle tradizioni, ai luoghi, ai vicoli, al bosco, al Castello dei Ventimiglia. Emigrati che attraverso lunghi viaggi avventurosi e non, si legavano tramite lettera al proprio paese. Così la malinconia per i propri familiari si conciliava con quella verso il proprio paese.  Basta incontrare un paesano “fuori dalle mura” per chiedergli subito: “O paisi chi si dici”. E’ da sempre il paese, la nostra famiglia.
Il  nostro campanilismo ha segnato la differenza con i paesi vicini, non a caso, nel tempo, Castelbuono è cresciuta tutta insieme civilmente e socialmente senza lasciare indietro nessuno. L’amore, dicevamo viscerale, è stato tramutato in rispetto per il paese e in crescita culturale. Avere come identità i monumenti, il Castello, a Chianna N’nintra, a Chizzetta, ma anche le scuole, le Confraternite, le Istituzioni religiose e culturali, ha prodotto quella tutela del Bene Comune che è stato da esempio per molti.
C’è però un vecchio detto che dice che le cose belle sono destinate a durare poco, è così anche la castelbuonesità da più di un anno subisce un leggero ma costante deterioramento.
Gli atti vandalici che segnano Castelbuono da qualche tempo ormai, sono certamente un fatto preoccupante. Si è cominciato dalle scritte che hanno sfregiato le pareti esterne del Castello dei Ventimiglia, poi si è passati alle automobili, alle insegne commerciali e per finire alla fontanella dell’Arco del Castello. Simbolo di ristoro oggi, suo malgrado, si converte a simbolo della mancanza di rispetto verso il Bene Comune. In tempi in cui la comunicazione corre veloce, in cui si scrivono comunicati ogni cinque minuti per comunicare anche il nulla, non si è letto nessun comunicato ufficiale da parte delle Istituzioni comunali e culturali di Castelbuono. Nessuno che abbia un ruolo istituzionale ha condannato pubblicamente lo scempio prodotto. Al contrario si continua a parlare di turismo, di accoglienza, senza capire che se si lascia sola la comunità nell’emergenza di educazione civica, finirà ogni possibilità di  turismo, nessuna  crescita per Castelbuono. A chi importa veramente quello che è accaduto? Dove sono  finite le Cassandre che nel passato si sono indignate per molto meno?
Questo silenzio assordante rende ancora più grave il gesto vandalico. La storia che sempre ha avuto molto da insegnare a tutti, oggi è messa da parte, le sono preferite feste e sagre, e nulla più. Viviamo nel tempo di Narciso che si compiaceva solo della sua estetica, del piacere fine a se stesso, privo di contenuto.
Quell’amore di cui si parlava prima ha fatto da scudo nel passato proprio al Bene Comune. E’ inutile gridare ai commercianti di non vendere quelle diavolerie. Il problema non sono loro che fanno il proprio lavoro, è di tutti, dell’intera Comunità che non riesce più coralmente a indignarsi, a proteggere quanto il passato le ha restituito.
Il fatto grave denota una profonda assenza di educazione alla bellezza, alla nostra storia. Serve dunque un patto educativo tra le Istituzioni comunali, culturali, religiose, le famiglie e certamente la scuola. Non qualcosa che resti come d’abitudine declamata in qualche assemblea pubblica ma qualcosa di costante che insegni ai bambini, agli adolescenti ad avere cura del patrimonio pubblico e a difenderlo dall’ignoranza e dalla mancanza di rispetto,  come si fa con un amico.
La politica che per antonomasia è la guida di una comunità, dovrebbe tornare a occuparsi di queste cose, assumendosi il ruolo di unire i cittadini  per la crescita del senso civico e per formare al rispetto il cittadino di domani. Si dirà che la fontanella si potrà restaurare. Ciò è indubbiamente vero ma perché non s’investe in restauri conservativi coinvolgendo la comunità? Perché si deve correre ai ripari? Politiche da mordi e fuggi, oggi, invece, serve un progetto che guardi lontano e che sia foriero di morale e desiderio di conoscenza.
Educare, non significa tornare su strade già tracciate, ma spingere proprio al desiderio della conoscenza, partendo dalle proprie radici, fare esperienza, calpestare con senso compiuto i luoghi, le storie. Significa avere consapevolezza di quello che abbiamo, fermarsi senza appropriarsi ma, imparare a donare e desiderare sempre. Il desiderio della conoscenza, del rispetto devono essere la base di questo patto educativo. Un patto tra generazioni, un passaggio convinto e consapevole del Bene Comune. Questo segnale avrebbero dovuto dare le Istituzioni, sentirlo come dovere morale.
Un mito che dovrebbe tornare di moda, contro quello di Narciso, è quello di Telemaco, che guardava alla forza del passato, da cui attingere insegnamento, bellezza, coraggio, per costruire un futuro forte e in continuità con quello che i padri avevano fatto. Telemaco prende dall’assenza del padre il senso del suo andare; si mette in viaggio nell’eredità conoscendola e desiderando di portarla lontano conservandola.
Partire dunque dalla curiosità positiva del desiderio della conoscenza, della bellezza significa in definitiva continuare a costruire, significa amare, rispettare, avere senso civico; significa, infine, testimoniare quel sentimento di appartenenza che, nel tempo, ha impresso ciò che ha reso differente la nostra Comunità.
Non è forse arrivato il momento di tornare a  “sognare”… la differenza?