domenica 31 gennaio 2016

A titolo personale

I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coraggio, di coerenza e di altruismo.
(SandroPertini)

Ho riflettuto molto sul Family day e in particolare culla frase che il Ministro dell’ambiente ha proferito: “Sono qui a titolo personale”. Ora il dubbio che mi assale è il seguente: ma un Ministro di un Governo che si professa coerente con i principi di sinistra, (anche se fosse di destra, sarebbe la stessa cosa), può agire pubblicamente “a titolo personale”? La politica è come sei ogni ogni giorno, nel tuo quotidiano, io l’ho sempre pensata così. Da questo ne consegue che, si opera secondo i principi che si hanno e che confluiscono nella prassi di governo, sia locale sia nazionale. Ora se un Ministro la mattina si sveglia e anche su altri temi, tipo il nucleare, il trattato di Schengen, la politica economica europea, gli aiuti umanitari, cosa ne sarebbe della politica? Non sarebbe forse una Babele non solo ideologica ma del tutto personale? Il voto sui diritti civili è una cosa sacrosanta che riguarda tutta la popolazione non solo un gruppetto mal messo di cittadini. Mal messo, secondo i ferventi cattolici che non hanno neanche capito il messaggio delle Sacre scritture. Talebani anch’essi, auspicano che la famiglia sia fatta da padre, madre e figli. Ma dov’è scritto? Certo la natura fa il suo corso e ciò è incontrovertibile. Ma quante cose l’uomo ha fatto contro natura?  L’inquinamento, i genocidi, lo sfruttamento di popolazioni inermi, e tante altre vicende che la storia ci insegna, non sono forse contro natura? Perché, dunque, privare, i cittadini di una vita normale in cui regna ciò che più l’uomo dovrebbe sapere esprimere e cioè l’amore? Che cosa sono di valori occidentali? Dopo gli attentati di Parigi tutti i premier occidentali ci hanno detto che si dovevamo tornare a uscire, andare ai concerti, ai pub. Difendere così i nostri valori? Bene, se questi sono i valori per cui è nato l’Illuminismo, il Romanticismo, il Risorgimento e ancora indietro il Rinascimento siamo messi male. Al Circo Massimo c’era pure la Meloni, amica di quel Casini cattolicissimo che ha quattro famiglie. La bionda di destra ci ha annunciato la lieta notizia. Quale luogo più adatto per comunicare il lieto evento? Da quel momento si è scatenata l’ironia più sagace: “lo sa la Meloni chi è il padre?”. “Ma come proprio lei un figlio senza essere sposata”…Ironia sì, ma come sempre dentro di essa c’è la verità. E la verità oggi è che la classe politica italiana è sempre piegata verso quel cattolicesimo di maniera dimostrandosi incapace di fare con chiarezza scelte coraggiose. Che cosa stanno trasmettendo tutti i nostri politici ai giovani? Mi auguro che oggi, chi si è svegliato ed ha letto il giornale, abbia capito una cosa, che il Circo Massimo è stato un fallimento e che è arrivato il momento che l’amore sia garantito e difeso.  

martedì 26 gennaio 2016

Nessuno scrive al colonnello

Tra i romanzi che rappresentano moltissimo la letteratura meravigliosa di Gabriel Garcia Màrquez c’è, indubbiamente il romanzo “Nessuno scrive al Colonnello”. Un colonnello, un gallo e una moglie, questi i tre personaggi che s’incontrano e scontrano continuamente, nell’attesa infinita che giunga una lettera. I due coniugi, poverissimi, vivono nel ricordo costante del figlio morto troppo giovane, egli era legatissimo al suo gallo. Lo cresceva e addestrava per le gare tra galli che solitamente si disputavano in paese. Morto il figlio, è il Colonnello, contro il volere della moglie che continua ciò che il figlio aveva dovuto lasciare. Questo romanzo non è solo il legame tra un padre e un figlio, ma è quello che distingue l’uomo dall’animale. Avere un’idea, portarla avanti ad ogni costo, anche quando di mezzo c’è la fame. La lettera che il Colonnello aspetta è quella dell’agognata pensione che metterebbe lui e la moglie al riparo dalla miseria giornaliera. Ogni giorno, dunque egli spera che sia quello buono, ma i giorni passano, ottobre arriva e con lui le piogge e i malanni. Quello che però rende vivo il romanzo è proprio il gallo, le cure di cui ha bisogno e la costante e metodica attenzione del Colonnello. Può un uomo lasciare consumare pur di salvare un gallo? Nella dispensa non c’è più nulla, allora la moglie propone di mangiare il gallo. Il Colonnello non la prende neanche in considerazione. Il gallo è la loro salvezza, vincerà la gara e sarà il più bello e forte di tutti.
L’idea, aggrapparsi a essa pur di andare avanti. Superare le difficoltà per qualcosa di più umano, per un premio che, dopo tutto, ognuno di noi merita. Il Colonello è un uomo tutto di un pezzo, militare di razza, ordinato e metodico. Si fa la barba sempre nello stesso modo e non rinuncia mai alla sua camicia. Ha combattuto anche con Aureliano Buendia, il protagonista eccezionale di “Cent’anni di solitudine”. E’ uno che ne ha viste. E’ un uomo che, a ben conoscere la sua storia, mai si sarebbe potuto legare così a un gallo. La tenerezza che sprigiona nella cura e nella ostinazione che mette per salvaguardarlo fa di lui un eroe comune, uno che non rinuncia alle sue idee per nulla al mondo. Avere un’idea, ci insegna il colonnello, rende liberi. Avere una meta da raggiungere riempie le giornate, anche quando tutto sembra andare nel verso sbagliato. Andare avanti ad ogni costo, stringere i denti, ammalarsi anche, pur si salvare il principio. Questo è “Nessuno scrive al colonnello”. Romanzo fantasioso, com’è nella prassi di Màrquez e allo stesso tempo umano. Triste e malinconico ma anche ironico. Il finale, tutto da assaporare è proprio la firma di Màrquez.



Il colonnello aprì il barattolo del caffè e si accorse che ne era rimasto appena un cucchiaino. Tolse il pentolino dal focolare, rovesciò metà dell’acqua sul pavimento di terra battuta, e con un coltello raschiò l’interno del barattolo sul pentolino finché si distaccarono gli ultimi rimasugli di polvere di caffè misti a ruggine di latta. Mentre aspettava che l’infusione bollisse, seduto vicino al focolare di mattoni in un atteggiamento di fiduciosa e innocente attesa, il colonnello provò la sensazione che nelle sue viscere nascessero funghi e muffosità velenose. Era ottobre. Una mattina difficile da cavar fuori, anche per un uomo come lui che era sopravvissuto a tante mattine come quella. Per cinquantasei anni – da quando era finita l’ultima guerra civile – il colonnello non aveva fatto altro che aspettare. Ottobre era una delle poche cose che arrivavano1. Sua moglie alzò la zanzariera quando lo vide entrare nella stanza col caffè. Quella notte aveva sofferto una crisi di asma e ora era prostrata in uno stato di sopore. Ma si sollevò per prendere la tazza. “E tu?” disse. “L’ho già preso” mentì il colonnello. “Ne era rimasta ancora una cucchiaiata grande.” In quel momento cominciarono i rintocchi. Il colonnello si era dimenticato del funerale. Mentre sua moglie beveva il caffè, staccò l’amaca da un’estremità e l’arrotolò nell’altra, dietro la porta. La donna pensò al morto. “È nato nel 1922” disse. “Esattamente un mese dopo nostro figlio il sette aprile.” Continuò a bere il caffè nelle pause della sua respirazione rantolosa. Era una donna costruita soltanto di cartilagini bianche su una spina dorsale inarcata e inflessibile. I disturbi respiratori la costringevano a far domande affermando. Quando finì il caffè stava ancora pensando al morto. “Deve essere orribile essere sepolto in ottobre” disse. Ma suo marito non le fece caso. Aprì la finestra. Ottobre si era insediato nel patio. Osservando la vegetazione che prorompeva in verdi intensi, le minuscole cupole dei vermi nel fango, il colonnello sentì di nuovo il mese funesto negli intestini. “Ho le ossa umide” disse. “È l’inverno” ribatté la donna. “Da quando è cominciato a piovere ti sto dicendo di dormire senza toglierti le calze.” “È da una settimana che dormo con le calze.”  Per… arrivavano: la fine delle guerre civili, alle quali aveva partecipato con coraggio, diventa, per il colonnello, la fine della propria ragione di esistere, solo alimentata dalla speranza dell’arrivo di una lettera e dall’esistenza del gallo.  …“È ottobre” mormorò, e si mosse verso il centro della stanza. Soltanto allora si ricordò del gallo legato al piede del letto. Era un gallo da combattimento. Dopo aver portato la tazza in cucina andò nel salotto a caricare una pendola in cornice di legno intagliato. A differenza della stanza da letto, troppo angusta per la respirazione di una asmatica, il salotto era ampio, con quattro sedie a dondolo di vimini attorno a un tavolino con un tappeto e un gatto di gesso. Sulla parete opposta a quella dell’orologio, c’era il quadro di una donna avvolta in veli, circondata da amorini in una barca carica di rose. Erano le sette e venti quando terminò di caricare l’orologio. Poi portò il gallo in cucina, lo legò a un sostegno del focolare, cambiò l’acqua alla bacinella e vi mise vicino un pugno di granturco. Un gruppo di bambini entrò dallo steccato sconnesso. Si sedettero intorno al gallo, a contemplarlo in silenzio. “Smettetela di guardare quell’animale” disse il colonnello. “I galli si sciupano, a furia di guardarli.” I bambini non si scomposero. Uno di loro attaccò sull’armonica gli accordi di una canzone di moda. “Oggi non si suona” gli disse il colonnello. “C’è un morto in paese.” Il bambino si infilò lo strumento nella tasca dei pantaloni e il colonnello andò nella stanza a vestirsi per il funerale. Il vestito bianco non era stirato a causa dell’asma della donna. Di modo che il colonnello dovette decidersi per il vecchio vestito di panno nero che dopo il suo matrimonio usava soltanto in speciali occasioni. Gli costò fatica trovarlo in fondo al baule, avvolto nei giornali e preservato contro le tarme con palline di naftalina. Rigida sul letto la donna continuava a pensare al morto. “Deve aver già incontrato Agustín” disse. “Può darsi che non gli racconti la situazione in cui ci siamo trovati dopo la sua morte.” “A quest’ora staranno discutendo di galli” disse il colonnello. Trovò nel baule un ombrello enorme e antico. Lo aveva vinto la donna a una tombola politica destinata a raccogliere fondi per il partito del colonnello. Quella stessa sera avevano assistito a uno spettacolo all’aperto che non era stato interrotto malgrado la pioggia. Il colonnello, sua moglie e suo figlio Agustín – che allora aveva otto anni – avevano assistito allo spettacolo fino alla fine, seduti sotto l’ombrello. Ora Agustín era morto e la fodera di raso lucido era stata distrutta dalle tarme. “Guarda che cosa è rimasto del nostro ombrello da pagliaccio di circo” disse il colonnello con una sua antica frase. Spalancò sul capo un misterioso sistema di stecche metalliche. “Ora serve soltanto per contare le stelle.” Sorrise. Ma la donna non si prese la briga di guardare l’ombrello. “Tutto è così” mormorò. “Stiamo marcendo vivi.” E chiuse gli occhi per pensare più intensamente al morto. Dopo essersi fatto la barba a tastoni – dato che lo specchio mancava da molto tempo – il colonnello si vestì in silenzio. I pantaloni, attillati alle cosce quasi quanto le mutande lunghe, chiusi alle caviglie con fettucce scorrevoli, si sostenevano alla vita con due linguette dello stesso panno che passavano tra due fibbie dorate cucite all’altezza delle reni. Non usava cintura. La camicia color cartone antico, dura come cartone, si chiudeva con un bottone di rame che serviva al tempo stesso per allacciare il colletto inamidato. Ma il colletto inamidato era rotto e così il colonnello rinunciò alla cravatta. Faceva ogni cosa come se fosse un’azione trascendentale. Le ossa delle sue mani erano foderate di cute lucida e tesa, coperta di chiazze brune come la pelle del collo. Prima di infilarsi gli stivaletti di vernice grattò via il fango incrostato nelle cuciture. Sua moglie lo vide in quell’istante, vestito come il giorno del suo matrimonio. Soltanto allora si accorse come era invecchiato suo marito. “Ti sei messo come per un avvenimento” disse. “Questo funerale è un avvenimento” disse il colonnello. “È il primo morto di morte naturale da molti anni a questa parte”.

venerdì 15 gennaio 2016

Non ci resta che piangere

“Non credo finite le mie pene: altre ne pensano gli dèi. Ma tu, o potente, abbi pietà: dopo tanti dolori, tu sei la prima che incontro e non conosco alcuno di quelli che abitano il luogo e la sua terra. Indicami la città e dammi qualcosa per coprirmi, se mai, venendo qua, avevi una tela da involgere i panni”.
Omero- L’Odissea

L’anno appena finito ci ha fatto un ultimo dono: il bilancio comunale. Un bilancio lacrime e sangue come l’ha apostrofato il Nostro. Egli, infatti, aveva auspicato al Consiglio comunale di non votarlo neanche: “Non è il mio bilancio”….E allora, i consiglieri mappe alla mano e torcia, sono andati alla ricerca del colpevole. Gli unici che non si sono mossi che hanno contravvenuto alla richiesta del nostro sono stati proprio quelli della sua mini-maggioranza. “O Dei, Dei tutti” esclamò, “neanche gli ordini di scuderia sentono più”. E cosi, gli altri, sempre alla ricerca del colpevole, si resero conto che, il Nostro delle verità le aveva dette: “È colpa della Regione, dello Stato, dei comuni vicini, dell’Ato, delle cavallette che nell’antica storia si accanirono contro il raccolto”. La cittadinanza tutta, ha avuto un sussulto di tristezza, piange, piangono tutti. Uomini, donne, anziani e bambini. Finanche i turisti appena sbarcati nel Nostro bel paese, avvertono l’aria di tristezza e piangono anch’essi. Un pianto corale, catartico come da tradizione greca. Con gli ultimi soldi in cassa, l’amministrazione ha approfittato di un’offerta alla Conad e ha comprato quantità enormi di fazzoletti da distribuire a tutte le famiglie. Ma neanche quelli sono bastati. Le due congregazioni dell’Addolorata hanno dichiarato la loro disponibilità a sfilare ogni giorno, mestamente e piangendo per la disfatta economica del nostro comune. Bande di Bravi manzoniani si sono formate sui monti per combattere i nemici che lesinano i denari. Tutte le offerte delle messe saranno devolute all’Amministrazione per le attività culturali cui il Nostro tiene particolarmente. E’ stato anche anticipato un viaggio istituzionale all’Oracolo di Delfi per conoscere gli auspici degli Dei. Sul Ponte della Fiumara si stanno adoperando per la costruzione di una frontiera: chi, infatti, vorrà venire a Castelbuono dovrà pagare due fiorini. Lo scoramento non finisce, nessun festeggiamento, nessuna passerella, nessuna foto di visi contenti ai concerti, sagre, eventi culturali. Nulla, l’Amministrazione che di forma vive, e galleggia, manco un selfie ha potuto fare. Tempi duri, tempi di lupi e carbone. La Vecchia è dovuta ricorrere alla forestale per farsi riempire i sacchi di carbone. Uno stravolgimento impressionante. Di Castelbuono non si dice più che è una cittadina ilare e sorridente adagiata sulle colline. Per tale ragione è stato emesso un bando per la ricerca di un nuovo slogan più incline allo stato attuale di prostrazione. Questo è vero accanimento, il mantra “sordi un ci ni su” rischia seriamente di compromettere l’ultimo anno di amministrazione. Proprio adesso che si avvicinano le prossime elezioni! Non è giusto. Piange il Nostro, piange la sua giunta, il consiglio, piange l’opposizione che non si da pace e si ripete costantemente: “Ma picchì un si ni va”…tranne uno. Uno solo non piange e rimane sornione. Riunioni animate si susseguono, c’è chi suggerisce di aumentare le tasse, chi di tagliere definitivamente la mensa scolastica, chi i servizi sociali, il comando dei vigili urbani ecc. Ecc. … C’è anche chi pensa di vendere Piazza Margherita, il Castello e Piazza Parrocchia con chiesa e Milite annessi. Una cosa è certa, nel silenzio, nell’incapacità di amministrare i soldi pubblici, come un buon padre di famiglia farebbe, si vocifera che il nostro nel solo momento di verità che dobbiamo riconoscergli è tentato di affacciarsi al balcone del Palazzo comunale per parlare alla popolazione e, a quanto pare, questo dirà: “ Cari concittadini, anche gli Dei ci sono avversi, la Maga Circe non risponde neanche al telefono. A questo punto, l’unica cosa che posso sentitamente dirvi e imprimere nelle menti è non ci resta che piangere. Tutti insieme come fanno gli astuti coccodrilli dopo avere fagocitato voracemente la preda”.