“Colui che fece per viltà il gran rifiuto”
Dante Alighieri, Inferno III canto
Difficile in questi giorni non
pensare a quanto la storia e la letteratura ci vengano in soccorso per
decifrare quanto sta succedendo. Difficile ancora è credere che, tra le pieghe
della realtà, non si celi qualcosa di pericoloso. Non siamo stupiti della
decisione del “Già visto” a candidarsi per la poltrona di sindaco, lo abbiamo
scritto mesi fa, era nelle cose, nel suo carattere autoreferenziale, giungere a
questo risultato. Conosciamo la storia politica di questo paese, ne conosciamo
gli attori, i passaggi, le fasi drammatiche che hanno condotto a quanto sta
avvenendo. In politica, così come nella vita, bisogna avere la memoria lunga e
non dimenticare volutamente, ma ricordare per migliorare. Oggi, al contrario,
assistiamo a un’involuzione. Il “Già visto”, grida dal palco la parola
“Compagni” nei confronti di quelli cui sta tendendo la trappola, li invita a
una riflessione che lui ha “Già rivisto”, li scuote a suo dire, perché loro
avranno le regole democratiche, ma lui ha la società civile. Le regole appunto, quelle tanto maltrattate
da chi oggi amministra, sono
definitivamente surclassate dalla autoreferenzialità di chi crede che da solo,
possa vincere. Il Metodo, quello che
dà valore al merito, da lui prima condiviso, viene messo da parte, superato dagli eventi, dalle
firme richieste e non raccolte a furor di popolo (quale popolo?). Si sottrae
dunque alla democrazia interna per “applicarne” qualche altra pro domo propria. Con lui si
vince, non con le scelte democratiche. Lui ha le idee, gli altri no. Pur di
vincere va con chi non gli è stato mai Compagno, con chi non ha nulla a che
vedere con la sua storia, con chi, non ha altro interesse che salire sull’eventuale
(pensano!) carro del vincitore. Crea il precedente dunque, da questo momento in
poi non avrà più senso avere regole, avere un progetto, rispettare i passaggi,
perché basterà assoldare qualcuno, raccogliere delle firme e il gioco è fatto. Tutto
e il contrario di tutto, purché si
vinca, purché sia lui a
vincere. Non c’è più una strada da
percorrere insieme con chi condivide, democraticamente, le stesse idee per la realizzazione di un
progetto politico, ma vincere. Sembra quasi di assistere alla “performance” di
un novello grillino, contrario per definizione a tutto, purché si vinca, purché
si rompa. Ecco, ha rotto con quel movimento che lo ha deluso, che non è stato
subordinato a lui. Ci chiediamo: finché era il candidato sindaco del coordinamento,
le regole andavano bene? Il movimento era giusto e corretto? Finché c’è stata
quella sudditanza atavica che ha investito il centrosinistra in questo paese,
andava tutto bene? Si scaglia contro il partito democratico, provocando anche
una pantomima grottesca, nell’illusione, forse, di convincere i più
“resistenti” a credere che i partiti
siano il male oscuro. Se la prende con quelli che chiama ancora spudoratamente compagni,
mentre si fa coccolare da chi gli è stato sempre contro. Si bea di essere
incontrollabile, si gloria di un passato amministrativo a cui in tanti hanno
partecipato, non solo lui. Ritiene di essere la luce alla fine del tunnel, è
l’aurora boreale, quella chimera che tutti aspettano. Tutti chi? Fuggire dai 43
e abbracciare i 723 è quello che lo metterà probabilmente ai margini. Chi fugge
e non combatte, chi si allontana e non accetta le “regole democratiche” si getta con tutto se stesso verso l’ignoto.
Grida dal palco e lo fa con il piglio dell’uomo politico che non si arrende e
macina tutti, offende la dignità altrui, ”con lui si vince con lei no”. Inveisce contro il candidato designato,
dicendo subito però che ne ha grande stima. Si arrampica sugli specchi cercando
una giustificazione che non ha presa nella piazza che ascolta. Il sogno che ha
sempre in mente è solo suo, crede che quella folla fosse lì per acclamarlo, non
per ovvia curiosità. Pochi quelli che alla fine si congratulano, per lo più “ex
altrui”, oggi folgorati dal “Già visto”. Gli “ex Compagni” da una parte, gli avventori
con le lacrime agli occhi, dall’altra. Come Celestino V che fece per viltà il
gran rifiuto. Rifiuta la democrazia, rifiuta di assumersi la responsabilità che
l’assemblea gli ha affidato, quella di mettersi al servizio della Comunità e
non del proprio Io. Da ex compagno, lui non gli altri, va veloce altrove. Non
ammetterà mai che quel sogno che racconta sempre era talmente debole che oggi,
di tutto il lavoro svolto negli anni, non ne è rimasto quasi nulla. Si dice lacerato, combattuto e, con
fare compiaciuto, ripete che: “lui non può abbandonare il “popolo“ che gli ha affidato questa grande responsabilità”. Si
arrampica, cade, dice tutto e il contrario di tutto. Sostiene che tanti processi
devono essere governati, ribadisce che da via Sant’Anna bisogna uscire per fare
rinascere Castelbuono. Fa serpeggiare l’idea che un “impegno così gravoso” non
può essere svolto da una donna già occupata
a lavare, stirare, dedita alla famiglia,
che non può avere tempo per la politica. Serve un uomo, l’Uomo di esperienza. Cerca
appigli, si gira, si dimena, fa un cerchio con le mani, non indica ma addita
con le parole. Lui che in Piazzetta è cresciuto e che in Piazza Margherita ha
governato, richiama la piazza che non lo va a salutare ma, che lo guarda con
gli occhi di chi ha “già visto” queste scene. Tenta di far presa sulla sua popolarità che lo
metterà al riparo dagli avversari, convinto che solo con quella i giochi sono
fatti. Dimentica volutamente che, a “segnare la differenza” non sarà la
gente che riempie la piazza per ovvia curiosità,
ma quella che si sentirà coinvolta a partecipare ad un progetto politico di rinascita seria per Castelbuono. A nostro
parere Il “Già visto” è andato davvero oltre; oltre l’amicizia, oltre quegli
uomini e donne che evoca sempre come scelti da lui, inventati quasi dal suo genio
politico. E’ andato oltre le regole, la democrazia, l’appartenenza. E’ andato
oltre il rispetto della sua stessa storia politica.
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