giovedì 23 febbraio 2017

Il precedente


 

“Colui che fece per viltà il gran rifiuto”

Dante  Alighieri,  Inferno III canto

Difficile in questi giorni non pensare a quanto la storia e la letteratura ci vengano in soccorso per decifrare quanto sta succedendo. Difficile ancora è credere che, tra le pieghe della realtà, non si celi qualcosa di pericoloso. Non siamo stupiti della decisione del “Già visto” a candidarsi per la poltrona di sindaco, lo abbiamo scritto mesi fa, era nelle cose, nel suo carattere autoreferenziale, giungere a questo risultato. Conosciamo la storia politica di questo paese, ne conosciamo gli attori, i passaggi, le fasi drammatiche che hanno condotto a quanto sta avvenendo. In politica, così come nella vita, bisogna avere la memoria lunga e non dimenticare volutamente, ma ricordare per migliorare. Oggi, al contrario, assistiamo a un’involuzione. Il “Già visto”, grida dal palco la parola “Compagni” nei confronti di quelli cui sta tendendo la trappola, li invita a una riflessione che lui ha “Già rivisto”, li scuote a suo dire, perché loro avranno le regole democratiche, ma lui ha la società civile. Le regole appunto, quelle tanto maltrattate da chi oggi amministra,  sono definitivamente surclassate dalla autoreferenzialità di chi crede che da solo, possa vincere. Il Metodo, quello che dà valore al merito, da lui prima condiviso, viene  messo da parte, superato dagli eventi, dalle firme richieste e non raccolte a furor di popolo (quale popolo?). Si sottrae dunque alla democrazia interna per “applicarne”  qualche altra pro domo propria. Con lui si vince, non con le scelte democratiche. Lui ha le idee, gli altri no. Pur di vincere va con chi non gli è stato mai Compagno, con chi non ha nulla a che vedere con la sua storia, con chi, non ha altro interesse che salire sull’eventuale (pensano!) carro del vincitore. Crea il precedente dunque, da questo momento in poi non avrà più senso avere regole, avere un progetto, rispettare i passaggi, perché basterà assoldare qualcuno, raccogliere delle firme e il gioco è fatto. Tutto e il contrario di tutto, purché si  vinca, purché sia lui a vincere.  Non c’è più una strada da percorrere insieme con chi condivide, democraticamente, le  stesse idee per la realizzazione di un progetto politico, ma vincere. Sembra quasi di assistere alla “performance” di un novello grillino, contrario per definizione a tutto, purché si vinca, purché si rompa. Ecco, ha rotto con quel movimento che lo ha deluso, che non è stato subordinato a lui. Ci chiediamo: finché era il candidato sindaco del coordinamento, le regole andavano bene? Il movimento era giusto e corretto? Finché c’è stata quella sudditanza atavica che ha investito il centrosinistra in questo paese, andava tutto bene? Si scaglia contro il partito democratico, provocando anche una pantomima grottesca, nell’illusione, forse, di convincere i più “resistenti”  a credere che i partiti siano il male oscuro. Se la prende con  quelli che chiama ancora spudoratamente compagni, mentre si fa coccolare da chi gli è stato sempre contro. Si bea di essere incontrollabile, si gloria di un passato amministrativo a cui in tanti hanno partecipato, non solo lui. Ritiene di essere la luce alla fine del tunnel, è l’aurora boreale, quella chimera che tutti aspettano. Tutti chi? Fuggire dai 43 e abbracciare i 723 è quello che lo metterà probabilmente ai margini. Chi fugge e non combatte, chi si allontana e non accetta le “regole democratiche” si getta con tutto se stesso verso l’ignoto. Grida dal palco e lo fa con il piglio dell’uomo politico che non si arrende e macina tutti, offende la dignità altrui, ”con lui si vince con lei no”.  Inveisce contro il candidato designato, dicendo subito però che ne ha grande stima. Si arrampica sugli specchi cercando una giustificazione che non ha presa nella piazza che ascolta. Il sogno che ha sempre in mente è solo suo, crede che quella folla fosse lì per acclamarlo, non per ovvia curiosità. Pochi quelli che alla fine si congratulano, per lo più “ex altrui”, oggi folgorati dal “Già visto”.  Gli “ex Compagni” da una parte, gli avventori con le lacrime agli occhi, dall’altra. Come Celestino V che fece per viltà il gran rifiuto. Rifiuta la democrazia, rifiuta di assumersi la responsabilità che l’assemblea gli ha affidato, quella di mettersi al servizio della Comunità e non del proprio Io. Da ex compagno, lui non gli altri, va veloce altrove. Non ammetterà mai che quel sogno che racconta sempre era talmente debole che oggi, di tutto il lavoro svolto negli anni, non ne è rimasto quasi  nulla. Si dice lacerato, combattuto e, con fare compiaciuto, ripete che:  lui non può abbandonare il “popolo“ che gli ha  affidato questa grande responsabilità”. Si arrampica, cade, dice tutto e il contrario di tutto. Sostiene che tanti processi devono essere governati, ribadisce che da via Sant’Anna bisogna uscire per fare rinascere Castelbuono. Fa serpeggiare l’idea che un “impegno così gravoso” non può essere svolto  da una donna già occupata a lavare, stirare, dedita alla  famiglia, che non può avere tempo per la politica. Serve un uomo, l’Uomo di esperienza.  Cerca appigli, si gira, si dimena, fa un cerchio con le mani, non indica ma addita con le parole. Lui che in Piazzetta è cresciuto e che in Piazza Margherita ha governato, richiama la piazza che non lo va a salutare ma, che lo guarda con gli occhi di chi ha “già visto” queste scene.  Tenta di far presa sulla sua popolarità che lo metterà al riparo dagli avversari, convinto che solo con quella i giochi sono fatti. Dimentica volutamente che, a “segnare la differenza” non sarà la gente  che riempie la piazza per ovvia curiosità, ma quella che si sentirà coinvolta a partecipare ad un progetto politico  di rinascita seria per Castelbuono. A nostro parere Il “Già visto” è andato davvero oltre; oltre l’amicizia, oltre quegli uomini e donne che evoca sempre come scelti da lui, inventati quasi dal suo genio politico. E’ andato oltre le regole, la democrazia, l’appartenenza. E’ andato oltre il rispetto della sua stessa storia politica.

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