Per comprendere le recenti vicende politiche
verificatesi a Castelbuono, abbiamo, come spesso ci capita, chiesto aiuto alla
storia. Rileggendo alcuni documenti e intervistando alcuni degli allora
protagonisti politici, siamo giunti alla conclusione che Castelbuono da sempre
è stato un laboratorio politico che ha innescato notevoli innovazioni. È
opportuno a questo punto ricordare alcuni esempi che hanno confortato la nostra
considerazione. Già nel 1948, subito dopo la guerra l’allora Sindaco Filippo
Bonomo, votatissimo dai castelbuonesi, scelse come suo vice, la
"Sindachessa" Nicla La Grua. Donna di grande fascino e preparazione,
dotata di altissime doti intellettive che, di fatto, amministrò bene in anni
molto difficili. Fu il primo esempio di quota rosa: innovazione politica. Nel 1985, nasce a Castelbuono il primo
governo di “larghe intese”, quello che oggi troviamo a livello nazionale.
Fautori di quel “compromesso storico” furono il MOP (ne facevano parte la
Sinistra della DC, la Rete ed esponenti della società civile), il PSI, il PCI e
il Gruppo Ambiente. Insieme elessero Sindaco Francesco Romeo del PSI: innovazione politica. Nel 1993, quando
ancora a livello nazionale la politica arrancava nel cercare nuovi
posizionamenti, (furono gli anni delle stragi mafiose, di tangentopoli) a
Castelbuono nasce il primo Governo di Centro Sinistra, quello che anni dopo in
Italia chiameremo Ulivo. Era il Movimento Democratico per Castelbuono di cui
facevano parte, rigorosamente in ordine sparso, il PDS, i Verdi, la Rete, il
PPI, parte del PSI e laici: innovazione
politica. E ancora, nel 2006, nasce, prima delle elezioni amministrative,
il Partito Democratico. Solo più tardi vedrà la luce, il Partito Democratico di
Walter Veltroni, nel famoso “discorso del Lingotto”. Dopo questa breve ma, indicativa
carrellata, come non possiamo ancora una volta, non considerare l’innovazione
politica di questi ultimi mesi? I tanti
allontanamenti in Consiglio Comunale, le dissociazioni volontarie e non, le dimissioni
richieste e non, hanno determinato una nuova forma di governo, quello Extra Consiliare.
Ebbene sì, oggi ancora una volta la politica a Castelbuono ci sorprende, s’innova;
infatti, non avendo più la maggioranza dei suoi rappresentanti nell’organo istituzionale
principale, cerca, come può altrove. Di fatto è un altrove prossimo, non
altissimo, ma di certo vicino. Verrebbe da dire, non è solo una politica d’innovazione
è proprio in movimento costante.
Dicevamo, cerca come può sostegni, si appoggia, prende spunti e consigli da
ingegneri della politica, padri nobili, presentatori, liberatori. A ben vedere,
in questa nuova veste, ci pare non ci sia nessun politico come mai? Sarà un
caso? E mentre Castelbuono galleggia a causa della politica Extra Consiliare,
vediamo a poco a poco scemare tutti gli insegnamenti che la storia, recente e
passata, nel bene e nel male ci aveva portato a essere punto di riferimento
politico dell’intero territorio. Ci si può dimettere da tutto ma non da
cittadini. La conclusione la affidiamo a Oriana Fallaci che scriveva: “Vi sono momenti nella vita, in cui tacere diventa una colpa e
parlare diventa un obbligo. Un dovere morale, un imperativo categorico al quale
non ci si può sottrarre”. Chi si farà avanti?
martedì 23 dicembre 2014
venerdì 28 novembre 2014
Segnare la differenza.
Se si dovesse rispondere alla
domanda cosa ha di particolare Castelbuono? Che cosa significa veramente il
detto “ Paisi comu ‘u nuostru mancu ‘a Merica”? La risposta sarebbe: la castelbuonesità.
Castelbuono nel tempo è riuscita
a distinguersi dagli altri paesi vicini per la sua forte identità. Il
campanilismo dei castelbuonesi ha fatto scuola, non è solo un atteggiamento
tronfio ma, ne è il DNA.
Tante sono le storie che
raccontano quest’amore fatto di viscerale attaccamento alle tradizioni, ai
luoghi, ai vicoli, al bosco, al Castello dei Ventimiglia. Emigrati che
attraverso lunghi viaggi avventurosi e non, si legavano tramite lettera al
proprio paese. Così la malinconia per i propri familiari si conciliava con
quella verso il proprio paese. Basta
incontrare un paesano “fuori dalle mura” per chiedergli subito: “O paisi chi si
dici”. E’ da sempre il paese, la nostra famiglia.
Il nostro campanilismo ha segnato la differenza
con i paesi vicini, non a caso, nel tempo, Castelbuono è cresciuta tutta
insieme civilmente e socialmente senza lasciare indietro nessuno. L’amore,
dicevamo viscerale, è stato tramutato in rispetto per il paese e in crescita
culturale. Avere come identità i monumenti, il Castello, a Chianna N’nintra, a
Chizzetta, ma anche le scuole, le Confraternite, le Istituzioni religiose e
culturali, ha prodotto quella tutela del Bene Comune che è stato da esempio per
molti.
C’è però un vecchio detto che
dice che le cose belle sono destinate a durare poco, è così anche la castelbuonesità
da più di un anno subisce un leggero ma costante deterioramento.
Gli atti vandalici che segnano
Castelbuono da qualche tempo ormai, sono certamente un fatto preoccupante. Si è
cominciato dalle scritte che hanno sfregiato le pareti esterne del Castello dei
Ventimiglia, poi si è passati alle automobili, alle insegne commerciali e per
finire alla fontanella dell’Arco del Castello. Simbolo di ristoro oggi, suo
malgrado, si converte a simbolo della mancanza di rispetto verso il Bene
Comune. In tempi in cui la comunicazione corre veloce, in cui si scrivono
comunicati ogni cinque minuti per comunicare anche il nulla, non si è letto
nessun comunicato ufficiale da parte delle Istituzioni comunali e culturali di
Castelbuono. Nessuno che abbia un ruolo istituzionale ha condannato
pubblicamente lo scempio prodotto. Al contrario si continua a parlare di
turismo, di accoglienza, senza capire che se si lascia sola la comunità
nell’emergenza di educazione civica, finirà ogni possibilità di turismo, nessuna crescita per Castelbuono. A chi importa
veramente quello che è accaduto? Dove sono finite le Cassandre che nel passato si sono
indignate per molto meno?
Questo silenzio assordante rende
ancora più grave il gesto vandalico. La storia che sempre ha avuto molto da
insegnare a tutti, oggi è messa da parte, le sono preferite feste e sagre, e
nulla più. Viviamo nel tempo di Narciso che si compiaceva solo della sua
estetica, del piacere fine a se stesso, privo di contenuto.
Quell’amore di cui si parlava
prima ha fatto da scudo nel passato proprio al Bene Comune. E’ inutile gridare
ai commercianti di non vendere quelle diavolerie. Il problema non sono loro che
fanno il proprio lavoro, è di tutti, dell’intera Comunità che non riesce più
coralmente a indignarsi, a proteggere quanto il passato le ha restituito.
Il fatto grave denota una
profonda assenza di educazione alla bellezza, alla nostra storia. Serve dunque
un patto educativo tra le Istituzioni comunali, culturali, religiose, le
famiglie e certamente la scuola. Non qualcosa che resti come d’abitudine
declamata in qualche assemblea pubblica ma qualcosa di costante che insegni ai
bambini, agli adolescenti ad avere cura del patrimonio pubblico e a difenderlo
dall’ignoranza e dalla mancanza di rispetto,
come si fa con un amico.
La politica che per antonomasia è
la guida di una comunità, dovrebbe tornare a occuparsi di queste cose,
assumendosi il ruolo di unire i cittadini per la crescita del senso civico e per formare
al rispetto il cittadino di domani. Si dirà che la fontanella si potrà
restaurare. Ciò è indubbiamente vero ma perché non s’investe in restauri
conservativi coinvolgendo la comunità? Perché si deve correre ai ripari? Politiche
da mordi e fuggi, oggi, invece, serve un progetto che guardi lontano e che sia
foriero di morale e desiderio di conoscenza.
Educare, non significa tornare su
strade già tracciate, ma spingere proprio al desiderio della conoscenza,
partendo dalle proprie radici, fare esperienza, calpestare con senso compiuto i
luoghi, le storie. Significa avere consapevolezza di quello che abbiamo,
fermarsi senza appropriarsi ma, imparare a donare e desiderare sempre. Il
desiderio della conoscenza, del rispetto devono essere la base di questo patto
educativo. Un patto tra generazioni, un passaggio convinto e consapevole del
Bene Comune. Questo segnale avrebbero dovuto dare le Istituzioni, sentirlo come
dovere morale.
Un mito che dovrebbe tornare di
moda, contro quello di Narciso, è quello di Telemaco, che guardava alla forza
del passato, da cui attingere insegnamento, bellezza, coraggio, per costruire
un futuro forte e in continuità con quello che i padri avevano fatto. Telemaco
prende dall’assenza del padre il senso del suo andare; si mette in viaggio nell’eredità
conoscendola e desiderando di portarla lontano conservandola.
Partire dunque dalla curiosità
positiva del desiderio della conoscenza, della bellezza significa in definitiva
continuare a costruire, significa amare, rispettare, avere senso civico;
significa, infine, testimoniare quel sentimento di appartenenza che, nel tempo,
ha impresso ciò che ha reso differente la nostra Comunità.
Non è forse arrivato il momento
di tornare a “sognare”… la differenza?
venerdì 7 marzo 2014
Attraversare non è andare
E’ stato un anno lungo, infinito,
pieno di cose accadute, molte delle quali volute, altre no ma sicuramente non
successe.
Così in un pomeriggio di pioggia,
a distanza di un anno, quasi esatto, mi viene da scrivere, e di riprendere il
mio blog, abbandonato.
E voglio scrivere su una
differenza, sulla quale i fatti accaduti mi hanno portato a riflettere.
E’ bella la differenza che c’è
fra l’accadere e, il succedere, è sostanziale, non è indifferente e regola,
quasi, tutto quello che riusciamo a vivere, a sognare, a fare, a pensare nella
nostra vita.
Passa il tempo, il tempo passa e
spesso non ci accorgiamo che la maggior parte di quello che viviamo accade e
non succede.
Non ho mai creduto all’imponderabile,
ho creduto, invece, alle e nelle coincidenze, non ho mai amato il caso, mi sa
di cosa instabile, di qualcosa che sfugge, che nega l’ineluttabile razionalità
e nello stesso tempo l’andare discontinuo del cuore.
Pensiamo che tutto ciò che
viviamo succede, come se fosse un foglio già scritto. Il succedere viene dopo l’innesco
di qualcosa che ognuno di noi ha fatto in modo di creare.
Succede che la macchina cammina…se
la metti in moto. Succede che ti bagni se piove…Succede che ti scotti se tocchi
il fuoco.
Il succedere da sempre una
spiegazione, e ancora, il succedere, ha una spiegazione in sé.
Soffermiamoci adesso sull’accadere.
Accade qualcosa quando non lo aspettiamo.
L’accadere e privo di spiegazioni. Accade qualcosa quando meno ci interessa,
quando non abbiamo preventivato, come nel succedere, cosa e come gestirla.
Accade quando non pensiamo.
Quando siamo in balia dell’accadere,
non ci sono più limiti, non ci esistono più barriere, difese.
L’accadere è un incidente,
qualcosa di assolutamente imprevisto, non calcolato e proprio per questo a differenza
del succedere, non da tregua.
Esso s’insinua nella tua vita,
nel bene così come nel male, e ti cambia, forse anche per sempre.
Esso, l’accadere ci costringe a evolvere,
nel bene così come nel male; da questa evoluzione usciamo migliori o peggiori,
fieri con le ossa rotte.
E’ con l’accadere e non con il
succedere che la vita non è più la stessa.
Il succedere è un viaggio
prenotato, l’accadere è un biglietto acquistato all’ultimo minuto.
L’accadere nega la possibilità di
scegliere, con esso non si ha la libertà di potere stabilire il movimento. E’
un salto nel buio.
Si attraversano tante cose nella
vita, ogni giorno a ognuno succede di dovere attraversare cose che succedono,
di andare oltre, di varcare la frontiera, di saltare il fosso.
Quando le cose accadano, si sta
fermi, non ci sono strade da attraversare, non ci sono ponti che ci collegano
ad altro.
E’ nell’accadere che il
cambiamento principale sia quello di rimanere fermi, di non andare ma di
lasciarsi attraversare.
Siamo noi stessi, il ponte, la
strada, l’imponderabile citato prima.
Aspetto allora il prossimo
pomeriggio non uggioso per comprendere quanto sia stata lunga e difficoltosa e
nuova la strada del cambiamento accaduto.
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