martedì 23 dicembre 2014

L’innovazione politica

Per comprendere le recenti vicende politiche verificatesi a Castelbuono, abbiamo, come spesso ci capita, chiesto aiuto alla storia. Rileggendo alcuni documenti e intervistando alcuni degli allora protagonisti politici, siamo giunti alla conclusione che Castelbuono da sempre è stato un laboratorio politico che ha innescato notevoli innovazioni. È opportuno a questo punto ricordare alcuni esempi che hanno confortato la nostra considerazione. Già nel 1948, subito dopo la guerra l’allora Sindaco Filippo Bonomo, votatissimo dai castelbuonesi, scelse come suo vice, la "Sindachessa" Nicla La Grua. Donna di grande fascino e preparazione, dotata di altissime doti intellettive che, di fatto, amministrò bene in anni molto difficili. Fu il primo esempio di quota rosa: innovazione politica. Nel 1985, nasce a Castelbuono il primo governo di “larghe intese”, quello che oggi troviamo a livello nazionale. Fautori di quel “compromesso storico” furono il MOP (ne facevano parte la Sinistra della DC, la Rete ed esponenti della società civile), il PSI, il PCI e il Gruppo Ambiente. Insieme elessero Sindaco Francesco Romeo del PSI: innovazione politica. Nel 1993, quando ancora a livello nazionale la politica arrancava nel cercare nuovi posizionamenti, (furono gli anni delle stragi mafiose, di tangentopoli) a Castelbuono nasce il primo Governo di Centro Sinistra, quello che anni dopo in Italia chiameremo Ulivo. Era il Movimento Democratico per Castelbuono di cui facevano parte, rigorosamente in ordine sparso, il PDS, i Verdi, la Rete, il PPI, parte del PSI e laici: innovazione politica. E ancora, nel 2006, nasce, prima delle elezioni amministrative, il Partito Democratico. Solo più tardi vedrà la luce, il Partito Democratico di Walter Veltroni, nel famoso “discorso del Lingotto”. Dopo questa breve ma, indicativa carrellata, come non possiamo ancora una volta, non considerare l’innovazione politica di questi ultimi mesi?  I tanti allontanamenti in Consiglio Comunale, le dissociazioni volontarie e non, le dimissioni richieste e non, hanno determinato una nuova forma di governo, quello Extra Consiliare. Ebbene sì, oggi ancora una volta la politica a Castelbuono ci sorprende, s’innova; infatti, non avendo più la maggioranza dei  suoi rappresentanti nell’organo istituzionale principale, cerca, come può altrove. Di fatto è un altrove prossimo, non altissimo, ma di certo vicino. Verrebbe da dire, non è solo una politica d’innovazione è proprio in movimento costante. Dicevamo, cerca come può sostegni, si appoggia, prende spunti e consigli da ingegneri della politica, padri nobili, presentatori, liberatori. A ben vedere, in questa nuova veste, ci pare non ci sia nessun politico come mai? Sarà un caso? E mentre Castelbuono galleggia a causa della politica Extra Consiliare, vediamo a poco a poco scemare tutti gli insegnamenti che la storia, recente e passata, nel bene e nel male ci aveva portato a essere punto di riferimento politico dell’intero territorio. Ci si può dimettere da tutto ma non da cittadini. La conclusione la affidiamo a Oriana Fallaci che scriveva: “Vi sono momenti nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre”. Chi si farà avanti?

venerdì 28 novembre 2014

Segnare la differenza.

Se si dovesse rispondere alla domanda cosa ha di particolare Castelbuono? Che cosa significa veramente il detto “ Paisi comu ‘u nuostru mancu ‘a Merica”?  La risposta sarebbe: la castelbuonesità.
Castelbuono nel tempo è riuscita a distinguersi dagli altri paesi vicini per la sua forte identità. Il campanilismo dei castelbuonesi ha fatto scuola, non è solo un atteggiamento tronfio ma, ne è il DNA.
Tante sono le storie che raccontano quest’amore fatto di viscerale attaccamento alle tradizioni, ai luoghi, ai vicoli, al bosco, al Castello dei Ventimiglia. Emigrati che attraverso lunghi viaggi avventurosi e non, si legavano tramite lettera al proprio paese. Così la malinconia per i propri familiari si conciliava con quella verso il proprio paese.  Basta incontrare un paesano “fuori dalle mura” per chiedergli subito: “O paisi chi si dici”. E’ da sempre il paese, la nostra famiglia.
Il  nostro campanilismo ha segnato la differenza con i paesi vicini, non a caso, nel tempo, Castelbuono è cresciuta tutta insieme civilmente e socialmente senza lasciare indietro nessuno. L’amore, dicevamo viscerale, è stato tramutato in rispetto per il paese e in crescita culturale. Avere come identità i monumenti, il Castello, a Chianna N’nintra, a Chizzetta, ma anche le scuole, le Confraternite, le Istituzioni religiose e culturali, ha prodotto quella tutela del Bene Comune che è stato da esempio per molti.
C’è però un vecchio detto che dice che le cose belle sono destinate a durare poco, è così anche la castelbuonesità da più di un anno subisce un leggero ma costante deterioramento.
Gli atti vandalici che segnano Castelbuono da qualche tempo ormai, sono certamente un fatto preoccupante. Si è cominciato dalle scritte che hanno sfregiato le pareti esterne del Castello dei Ventimiglia, poi si è passati alle automobili, alle insegne commerciali e per finire alla fontanella dell’Arco del Castello. Simbolo di ristoro oggi, suo malgrado, si converte a simbolo della mancanza di rispetto verso il Bene Comune. In tempi in cui la comunicazione corre veloce, in cui si scrivono comunicati ogni cinque minuti per comunicare anche il nulla, non si è letto nessun comunicato ufficiale da parte delle Istituzioni comunali e culturali di Castelbuono. Nessuno che abbia un ruolo istituzionale ha condannato pubblicamente lo scempio prodotto. Al contrario si continua a parlare di turismo, di accoglienza, senza capire che se si lascia sola la comunità nell’emergenza di educazione civica, finirà ogni possibilità di  turismo, nessuna  crescita per Castelbuono. A chi importa veramente quello che è accaduto? Dove sono  finite le Cassandre che nel passato si sono indignate per molto meno?
Questo silenzio assordante rende ancora più grave il gesto vandalico. La storia che sempre ha avuto molto da insegnare a tutti, oggi è messa da parte, le sono preferite feste e sagre, e nulla più. Viviamo nel tempo di Narciso che si compiaceva solo della sua estetica, del piacere fine a se stesso, privo di contenuto.
Quell’amore di cui si parlava prima ha fatto da scudo nel passato proprio al Bene Comune. E’ inutile gridare ai commercianti di non vendere quelle diavolerie. Il problema non sono loro che fanno il proprio lavoro, è di tutti, dell’intera Comunità che non riesce più coralmente a indignarsi, a proteggere quanto il passato le ha restituito.
Il fatto grave denota una profonda assenza di educazione alla bellezza, alla nostra storia. Serve dunque un patto educativo tra le Istituzioni comunali, culturali, religiose, le famiglie e certamente la scuola. Non qualcosa che resti come d’abitudine declamata in qualche assemblea pubblica ma qualcosa di costante che insegni ai bambini, agli adolescenti ad avere cura del patrimonio pubblico e a difenderlo dall’ignoranza e dalla mancanza di rispetto,  come si fa con un amico.
La politica che per antonomasia è la guida di una comunità, dovrebbe tornare a occuparsi di queste cose, assumendosi il ruolo di unire i cittadini  per la crescita del senso civico e per formare al rispetto il cittadino di domani. Si dirà che la fontanella si potrà restaurare. Ciò è indubbiamente vero ma perché non s’investe in restauri conservativi coinvolgendo la comunità? Perché si deve correre ai ripari? Politiche da mordi e fuggi, oggi, invece, serve un progetto che guardi lontano e che sia foriero di morale e desiderio di conoscenza.
Educare, non significa tornare su strade già tracciate, ma spingere proprio al desiderio della conoscenza, partendo dalle proprie radici, fare esperienza, calpestare con senso compiuto i luoghi, le storie. Significa avere consapevolezza di quello che abbiamo, fermarsi senza appropriarsi ma, imparare a donare e desiderare sempre. Il desiderio della conoscenza, del rispetto devono essere la base di questo patto educativo. Un patto tra generazioni, un passaggio convinto e consapevole del Bene Comune. Questo segnale avrebbero dovuto dare le Istituzioni, sentirlo come dovere morale.
Un mito che dovrebbe tornare di moda, contro quello di Narciso, è quello di Telemaco, che guardava alla forza del passato, da cui attingere insegnamento, bellezza, coraggio, per costruire un futuro forte e in continuità con quello che i padri avevano fatto. Telemaco prende dall’assenza del padre il senso del suo andare; si mette in viaggio nell’eredità conoscendola e desiderando di portarla lontano conservandola.
Partire dunque dalla curiosità positiva del desiderio della conoscenza, della bellezza significa in definitiva continuare a costruire, significa amare, rispettare, avere senso civico; significa, infine, testimoniare quel sentimento di appartenenza che, nel tempo, ha impresso ciò che ha reso differente la nostra Comunità.
Non è forse arrivato il momento di tornare a  “sognare”… la differenza?



venerdì 7 marzo 2014

Attraversare non è andare

E’ stato un anno lungo, infinito, pieno di cose accadute, molte delle quali volute, altre no ma sicuramente non successe.

Così in un pomeriggio di pioggia, a distanza di un anno, quasi esatto, mi viene da scrivere, e di riprendere il mio blog, abbandonato.
E voglio scrivere su una differenza, sulla quale i fatti accaduti mi hanno portato a riflettere.

E’ bella la differenza che c’è fra l’accadere e, il succedere, è sostanziale, non è indifferente e regola, quasi, tutto quello che riusciamo a vivere, a sognare, a fare, a pensare nella nostra vita.
Passa il tempo, il tempo passa e spesso non ci accorgiamo che la maggior parte di quello che viviamo accade e non succede.

Non ho mai creduto all’imponderabile, ho creduto, invece, alle e nelle coincidenze, non ho mai amato il caso, mi sa di cosa instabile, di qualcosa che sfugge, che nega l’ineluttabile razionalità e nello stesso tempo l’andare discontinuo del cuore.

Pensiamo che tutto ciò che viviamo succede, come se fosse un foglio già scritto. Il succedere viene dopo l’innesco di qualcosa che ognuno di noi ha fatto in modo di creare.
Succede che la macchina cammina…se la metti in moto. Succede che ti bagni se piove…Succede che ti scotti se tocchi il fuoco.

Il succedere da sempre una spiegazione, e ancora, il succedere, ha una spiegazione in sé.
Soffermiamoci adesso sull’accadere.
Accade qualcosa quando non lo aspettiamo. L’accadere e privo di spiegazioni. Accade qualcosa quando meno ci interessa, quando non abbiamo preventivato, come nel succedere, cosa e come gestirla. Accade quando non pensiamo.

Quando siamo in balia dell’accadere, non ci sono più limiti, non ci esistono più barriere, difese.

L’accadere è un incidente, qualcosa di assolutamente imprevisto, non calcolato e proprio per questo a differenza del succedere, non da tregua.
Esso s’insinua nella tua vita, nel bene così come nel male, e ti cambia, forse anche per sempre.

Esso, l’accadere ci costringe a evolvere, nel bene così come nel male; da questa evoluzione usciamo migliori o peggiori, fieri con le ossa rotte.

E’ con l’accadere e non con il succedere che la vita non è più la stessa.
Il succedere è un viaggio prenotato, l’accadere è un biglietto acquistato all’ultimo minuto.

L’accadere nega la possibilità di scegliere, con esso non si ha la libertà di potere stabilire il movimento. E’ un salto nel buio.
Si attraversano tante cose nella vita, ogni giorno a ognuno succede di dovere attraversare cose che succedono, di andare oltre, di varcare la frontiera, di saltare il fosso.

Quando le cose accadano, si sta fermi, non ci sono strade da attraversare, non ci sono ponti che ci collegano ad altro.
E’ nell’accadere che il cambiamento principale sia quello di rimanere fermi, di non andare ma di lasciarsi attraversare.
Siamo noi stessi, il ponte, la strada, l’imponderabile citato prima.

Aspetto allora il prossimo pomeriggio non uggioso per comprendere quanto sia stata lunga e difficoltosa e nuova la strada del cambiamento accaduto.