“Capita che sfiori la vita di qualcuno, t’innamori e decidi
che la cosa più importante è toccarlo, viverlo, convivere le malinconie e le
inquietudini, arrivare a riconoscersi nello sguardo dell’altro, sentire che non
ne puoi più fare a meno… e cosa importa se per avere tutto questo devi
aspettare cinquantatré anni sette mesi e undici giorni notti comprese?”.
(Gabriel García Marquez)
(Gabriel García Marquez)
Da qualche tempo nel nostro vocabolario la parola –
alluvione- è entrata di prepotenza ed è divenuta di uso quotidiano. Notizie,
filmati, scene angoscianti ci perseguitano, ci rendono chiari i nostri limiti e
la pochezza politica degli ultimi decenni, che ha sacrificato la tutela del
territorio a interessi personali. Nessuno può dirsi indenne dall’alluvione.
Biblicamente Noè rappresenta il salvatore degli innocenti, il fidato uomo cui
Dio diede il ruolo di costruire l’Arca. Dio fece un patto con Noè e la sua
famiglia, li scelse e li salvò, purché portassero in salvo gli animali, affinché,
una volta finito il diluvio, la terra potesse rigenerarsi. Un atto di amore
infinito verso il creato. Noè lo fece e poi attese. Le alluvioni del nostro
tempo, sono meno speranzose e certamente più frequenti. L’alluvione però non è
solo un fatto fisico, non è solo acqua che scorre, ma è il caos che connota il
nostro tempo. Anche dalle nostre parti si sta verificando una specie di
alluvione e l’altra sera durante il consiglio comunale ne abbiamo avuto un
esempio plastico, quando un vecchio, (il più vecchio così si definisce lui
stesso) politico che ancora amministra, tentava in tutti i modi di arginare, di
tamponare, con veemenza, nervosismo ma, anche con tanta stanchezza e poca
convinzione, le tante incongruenze riguardanti la questione del teatro
Fontanelle. E più venivano giù come l’acqua impetuosa, più di affaticava. Dentro l’alluvione, crescono e si annidano
anche vari personaggi, vecchi per lo più, che magari hanno anche avuto ruoli
politici o amministrativi e che oggi, stanno a guardare. Stanno quatti, non si
esprimono pubblicamente, anche se ne hanno i mezzi. Attendono e basta. Alcuni
si sono rifatti in parte una nuova immagine, altri sono affacciati alla
finestra a guardare l’acqua che scorre con violenza e porta via, distrugge, con
foga e forza quel poco che resta. La loro arte è l’attesa, la pazienza, forse
anche la certezza di fare parte di una cerchia che tornerà in auge e quindi più
silenzio c’è meglio è. Meno esposizione c’è meglio è. Fanno squadra tra loro. Pochi sono quelli che si battono perché non
restino solo macerie e dagli attendisti, che danno un colpo al cerchio e uno
alla botte, sono anche snobbati, attaccati, messi a tacere. Durante l’alluvione
c’è uno strano clima, l’atmosfera è rarefatta, la dialettica è solo posta a
livello personale, meglio attaccare chi si espone che non esporre la propria
opinione su quanto sta accadendo, per esempio, al teatro “Le Fontanelle”. Il
Bene Comune, questo sconosciuto. Eppure, nel passato per molto meno hanno
protestato, vilipeso, forse anche offeso.
Attendono, ma non come
l’uomo innamorato di Marquez. Loro sanno che più attenderanno, più faranno
ritardare la catastrofe e così sarà più facile la conquista del potere.
Oggi in politica l’attesa è tutto. E allora cosa fare? Continuare, a scrivere,
a far notare, evidenziare tenendo d’occhio tutti quelli che attendono restando
in omertoso silenzio. Perché chi tace acconsente, e chi acconsente si
compiace…ma alla lunga non è detto che piaccia.
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