“E come possiamo intenderci se
nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose che sono dentro
me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col senso e il valore che
hanno per sé nel mondo che egli ha dentro?”
Luigi Pirandello
E’ trascorso un altro anno,
abbiamo cercato di raccontarlo, di essere attenti ai percorsi, alle persone,
alle parole e ai gesti. Abbiamo avuto la presunzione di ritagliarci un ruolo,
anche scomodo, per dire la nostra, per svolgere, come crediamo di sapere fare,
il nostro ruolo civico. Abbiamo avuto la fortuna di essere letti e seguiti, da
detrattori e non e di questo siamo grati a tutti. L’anno è stato lungo e
tormentato, abbiamo conosciuto amici e perso nemici, abbiamo inseguito la
trasparenza e ci siamo ritrovati muri invalicabili. Abbiamo cercato di essere
presenti, con l’ironia, con la tempestività, con la rabbia e l’orgoglio di chi
pensa che valga la pena scrivere per questo paese. Tante parole e più loro
crescono più cresce la voglia di starci dentro quelle parole, di sceglierle
bene, una a una, per ricamare la tela culturale e civica di questo paese. Ci
siamo occupati del passato, del presente, adesso vogliamo occuparci del futuro.
E abbiamo pensato, come fanno i bambini quando scrivono la lettera a Babbo
Natale, di scrivere anche noi il regalo che ci aspettiamo. Cari lettori,
conoscete la tecnica del kintsugi? Viene dall’Oriente, da molto lontano, da una
cultura molto diversa dalla nostra, che distrugge e non conserva, abituata a
gettare e non costruire. Il kintsugi insegna a non buttar via i pezzi di
ceramica rotti, ma a ripararne le crepe con oro e argento. Il kintsugi è l’arte
di valorizzare ogni piccolo fallimento, di riprendere e rimettere insieme con
valore, (ecco l’oro e l’argento), i pezzi caduti. Ci vuole tempo, pazienza e
costanza per rimettere i pezzi al loro posto e una volta sistemati, l’oggetto
sarà ancora più prezioso. Ogni fallimento dunque se valorizzato, può rivelarsi
come la cosa più bella e preziosa che abbiamo. Questo è quello che vorremmo
come regalo, un candidato sindaco che sappia essere capace di ricucire i pezzi
dispersi, che con autorevolezza metta fine alle beghe personali e che sia
capace di una dialettica alta. Che parli di politica e che valorizzi la critica
facendone arte proficua, che sappia ascoltare e non attaccare. Abbiamo bisogno
di una personalità trasversale che unisca i cittadini attorno ad un progetto
comune, capace di farci uscire tutti, dalle case così come dalla mediocrità cui
ci ha relegati la politica tutta. Non sogni, ma progetti reali, non chimere,
non scuse e piagnistei del “soldi non ce ne sono”, non mercificazione delle
intelligenze e valorizzazione delle clientele. Per fare questo, c’è bisogno di
una classe dirigente che capisca che non può vincere difendendo il passato e
criticando il presente, ma di una che sappia comprendere che solo demolendo il
presente si può costruire il futuro. Bisogna uscire dalla mentalità provinciale
di quelle figure che escono solo durante le elezioni, presenti in tutti gli
schieramenti. Bisogna guardare oltre, dire -grazie, ma facciamo da noi-. La
dialettica politica a Castelbuono è divenuta una Babele, anche all’interno
degli stessi partiti chi non la pensa nello stesso modo ed ha il coraggio di
dirlo, è subito attaccato personalmente e messo alla berlina. Pochezze di
uomini senza argomenti e politici improvvisati. Non capiscono, loro signori, che
quest’atteggiamento, metterà alla berlina proprio loro, allontanandoli dai
cittadini e dal buon senso comune. Non servono più strategie e tatticismi,
serve qualcuno che attui quella rivoluzione culturale di cui tante volte
abbiamo scritto. Volare alto, avere idee, sapere mettere e diffondere
entusiasmo, non rancore, non lotte individuali ma capacità di trascinare un forte
movimento di opinione. Serve una personalità che abbia una grande capacità di
ascolto lontana da chi, oggi, si gira lo sguardo altrove pur di non dare
risposte. E allora si sarà bellissimo correre insieme verso un senso diverso
delle cose, verso la valorizzazione delle nostre istituzioni, verso quei luoghi
che dovrebbero appartenere a tutti ma, che sono finiti con l’essere poltrone e
basta. Siamo convinti che sia la persona a fare il ruolo e non viceversa e per
questo crediamo che solo rompendo gli schemi, possa nascere una nuova fase. Tornare
dunque a dare valore alle cose e alle persone, a quello che dicono, che pensano
e che vogliono fare. La vera lezione che questa classe dirigente deve capire,
prima che sia troppo tardi, è che c’è bisogno di tutti, dei vecchi e dei
giovani, e non solo di essa.
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