06.03.2016
Cari Castelbuonesi,
Vi scrivo come parroco, ma anche
come sacerdote che cura, nella nostra Castelbuono in prima persona, la devozione alla Santa Patrona
celebrando il culto nella Augusta preziosa Cappella, che custodisce il Sacro
Teschio. L’occasione, come si comprende, è data dall’utilizzo della Cappella,
per una promozione artistica di alta moda con ispirazione dei panneggi
serpottiani. Ideata da una giovane stilista castelbuonese, l’iniziativa, come
precisato dalla Presidente del Museo Civico, doveva limitarsi alla ripresa
fotografica di panneggi e particolari. L’idea si è poi ingrandita nel percorso,
fino al defilè davanti all’altare con il tabernacolo e alla custodia del Sacro
Teschio, per essere ostentato nel calendario poi distribuito. Sono portato a
pensare che il fatto ha raggiunto queste dimensioni sotto la spinta della
euforia degli ideatori e organizzatori, compiaciuti della originale idea che li
entusiasmava man mano che ne riusciva la realizzazione. Penso ancora che la
loro intenzione è stata scevra da ogni volontà di profanazione e di sacrilega
offesa alla devozione del popolo di Castelbuono. Ciò non toglie che sia stata
naturale la reazione risentita del popolo devoto espressa da diverse voci che
ne sono state la risonanza. E’ stata ovvia la nota della Curia che, con seria
sobrietà, ha rivolto il suo richiamo, per altro subito accolto, alla Direzione
del Museo Civico, al Sindaco, e al Sacerdote officiante. Nel dibattito vivace
sono emersi argomenti interessanti che, manifestano posizioni dialettiche
sicuramente costruttive, ma che giungono a riflessioni forti e considerazioni
fuori dalle righe. Prima di offrire qualche pensiero che attinge a qualche
modesto studio, alla fede e al mio ufficio di sacerdote, vorrei paternamente
dire una parola sia a chi si sente offeso, sia a chi difende la libertà senza
limitazioni, in nome del progresso e della promozione culturale moderna. A chi
si sente colpito e offeso nella fede e nella devozione, dico: è eccessivo
parlare di sacrilegio inteso e voluto; può bastare parlare di leggerezza forse
di intemperanza. A chi, in nome del progresso, gratifica di arretratezza e
oscurantismo medievale quelli che hanno sofferto per i risvolti, pensiamo
sempre preterintenzionali del fatto, vorrei dire che la fede investe il cuore,
che ha le sue ragioni. Pertanto si soffre con vero dolore quando ciò che è
sacro viene anche solo non rispettato. Vera laicità è quella che riconosce,
rispetta e favorisce la religiosità come dimensione essenziale dell’uomo. Ogni
uomo va considerato e rispettato come incline e aperto alla religione, come,
per esempio, al Bello (estetica). Un’ altra sommessa osservazione: nella foga
del confronto a qualcuno, pare sia sfuggito il noto luogo comune “oscurantismo
medievale” . Forse è meglio concludere che dove c’è chiusura, rifiuto,
intolleranza e meno dialogo c’è oscurità e questo può accadere, ahimè, in ogni
epoca. Questi accenni mi immettono nella considerazione che intendevo offrire,
con discrezione, alla Comunità, prendendo le mosse da ciò che è accaduto, ma
superandone i risvolti polemici. Ogni opera, quanto più è bella, tanto più
immette nella sfera trascendentale; anche l’artista che non è mosso in primis
da emozioni religiose nella vera creazione artistica introduce, nel mondo del
mistero. Diverso è il moto creativo dell’arte sacra; essa nell’intendimento,
nello svolgimento, nella varietà di stilemi, diversi nelle epoche, si mette in
maniera chiara e inequivoca a servizio della fede del culto, della preghiera,
della liturgia. Com’è facile pensare alle grandiosità visive, ai cicli
pittorici, solennemente indicati e goduti come “ Bibbia e teologia pauperum!”.
Il Fatto biblico o la verità teologica, più che inibire la bellezza, esaltano
il genio dell’artista. Chi può non respirare il clima sacro che ispirano
inconfondibilmente le cattedrali di ogni tempo e di ogni latitudine? Oh! Se i
nostri cari giovani fossero entrati nel luogo serpottiano con la chiave che
apre la lettura teologica così vasta, così palpitante, così evocativa del
Mistero Cristiano. Certamente avrebbero percepito l’ammonimento biblico:
“Togliti i calzari perché la terra che
tu calpesti è sacra”. I Serpotta, hanno circondato il Sacro Teschio di simboli
che espongono, intrecciandosi armoniosamente, il poema sacro della fede
cristiana. Avendo la possibilità di studiarla e di goderne, almeno tutti i
martedi, mi provo ad offrire, qualche notizia e qualche suggestione. Entrando,
bisogna subito alzare lo sguardo al di sopra della nicchia, custodia del Sacro Teschio.
Cosa dice quella grande Aquila, così viva, che attrae e soggioga? Essa è il
simbolo del Dio Unico Luce e Amore: Amore che vive nelle tre divine persone
simboleggiate, appena sotto, dai tre Angeli distinti e uniti in armoniosa
dovizia. Quello che sta in basso, sembra discendere e lascia volare un drappo:
il Figlio scendendo dal seno della Trinità, il Velo dal Mistero del Dio uno e
trino. Altro che mero svolazzo ornamentale dell’arte serpottiana! Osserviamo
poi, le due scene plastiche che vivono nelle due ben disegnate e ornate cavità,
in linea con la nicchia reliquario. Rappresentano la Bambina Maria presentata
al Tempio e il suo sposalizio con Giuseppe. ( Sempre presenti Gioacchino e
Sant’Anna). Risaltano nella zona ad esse sottostante, ma ad esse collegati, i
tre Angeli-Trinità, mentre nella zona ad esse superiore, gli angeli sono due,
quasi si specchiano. Alludono, questi, alle due nature, divina e umana, che
consistono nella unica persona di Gesù, Dio-Uomo. Il genio di Serpotta, in modo
mirabile, con l’una e l’altra soluzione artistica ci dice che l’umile storia di
Maria, che ha radici in Sant’Anna, ha a che fare con i grandi misteri del
disegno di Dio. (Termine fisso dell’Eterno Consiglio canterà poi Dante). Dopo
le visioni mistiche, troviamo in basso le due coppie di lottatori, mirabili e
inquietanti che tanti interrogativi e tante ipotesi continuano a suggerire. A
me sembra siano tema-preludio del poema che si svolge nelle due pareti della
navata. La lotta drammatica del bene e del male, presente nella creazione è
sviluppato e rappresentato nell’ordine vegetale, animale, umano in modo plastico
e sorprendente. Vi si intuisce San Paolo ai Romani: “Tutta la creazione geme e
soffre nelle doglie del parto aspettando la redenzione”. Così, vediamo le
grandi foglie di acanto ampie ed eleganti che riservano alla radice, come un
seme, il viso grazioso di un bimbo
mesto; gli stanno accanto, nella stessa radice, come seme maligno, una coppia
di strane bestie. Nelle paraste che si sviluppano nelle due pareti, convivono
frutti sani e altri bacati, come anche animali che pur belli, tendono ad
alternarsi in mostri, le facce umane diventano maschere. Gli umani accanto alle
finestre, pieni di straordinaria vita, nei volti e nei movimenti, alcuni presentano
espressioni malvage, altri sono sereni ed estatici. Ma alla base, a tutto
campo, angeli grandi, belli, in coppia nella loro danzante e lieta simmetria, richiamano il Signore e
Salvatore con le due nature umana e divina. I voli dei panneggi, alludono
sempre alla sua Rivelazione. Non può mancare il simbolo della Sua Redenzione operata con il sangue: simbolo espresso in
cima alle quattro paraste centrali con la scena del pellicano che squarcia il
petto per nutrire i piccoli. Da notare
in questo simbolo la doppia simmetria, frontale e laterale. Sant’Anna così viene rappresentata
nella Cappella come radice umana dei grandi fatti della Salvezza e così viene
appresa e amata nei secoli dal suo popolo. Questa fede e questo amore che
continuamente vivono nel popolo, si sono manifestati, di recente, nella grande
corale celebrazione del Centenario 2013. Rimembriamo ancora quei giorni: chi
può dimenticare quella pioggia battente del 6 febbraio 2013 che cessa
istantaneamente alle 18.30, consentendo di iniziare all’ora stabilita la
processione fiaccolata, per giungere alla Madrice, che si colma fino
all’inverosimile di presenze giovanili e subito dopo riprende la pioggia? Chi
può dimenticare l’affluire di giovani, di bambini delle scuole, delle famiglie,
soprattutto degli ammalati quel venerdì 12 febbraio? Ricordiamo che il Castello
è stato comprato nel 1920 dal popolo di Castelbuono con le offerte tanto stentate
in quel tragico dopoguerra, raccolte portando il Sacro Teschio per le vie, anche
le più remote. Il Castello sicuramente è stato riscattato perché conteneva la
Cappella, custodia della Santa Reliquia. (Si avvicina il Primo Centenario di
quel grande e forte avvenimento). Queste considerazioni, che potrebbero essere
rafforzate visitando tanti testi biblici, possono introdurci a concludere che,
con un po’ di attenzione potranno, in futuro, essere evitare contaminazioni. A
vantaggio, certamente della fede, ma anche
forse del buon gusto e del buon esempio.
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